La pace sia con te

venerdì 20 dicembre 2013

Racconto di Natale di Dino Buzzati

Buon Natale e un  Felice Anno Nuovo


El Greco, La Sacra Famiglia


In questa occasione consiglio la lettura di  un racconto di Natale poco conosciuto, in cui l'"ateo - credente" Dino Buzzati  coglie, in una narrazione breve ed ingenua in apparenza, il significato autentico del Natale, che risiede nella condivisione dell'amore divino.  – Racconto che  ad ogni buon conto riporto  di seguito: 



RACCONTO DI NATALE

di Dino Buzzati
  (l’autore de Il deserto dei Tartari) 
Tetro e ogivale è l'antico palazzo dei vescovi, stillante salnitro dai muri, rimanerci è un supplizio nelle notti d'inverno. E l'adiacente cattedrale è immensa, a girarla tutta non basta una vita, e c'è un tale intrico di cappelle e sacrestie che, dopo secoli di abbandono, ne sono rimaste alcune pressoché inesplorate. Che farà la sera di Natale - ci si domanda – lo scarno arcivescovo tutto solo, mentre la città è in festa? Come potrà vincere la malinconia? Tutti hanno una consolazione: il bimbo ha il treno e pinocchio, la sorellina ha la bambola, la mamma ha i figli intorno a sé, il malato una nuova speranza, il vecchio scapolo il compagno di dissipazioni, i1 carcerato la voce di un altro dalla cella vicina. Come farà l'arcivescovo? Sorrideva lo zelante don Valentino, segretario di sua eccellenza, udendo la gente parlare così. L'arcivescovo ha Dio, la sera di Natale. Inginocchiato solo soletto nel mezzo della cattedrale gelida e deserta a prima vista potrebbe quasi far pena, e invece se si sapesse! Solo soletto non è, non ha neanche freddo, né si sente abbandonato. Nella sera di Natale Dio dilaga nel tempio, per l'arcivescovo, le navate ne rigurgitano letteralmente, al punto che le porte stentano a chiudersi; e, pur mancando le stufe, fa così caldo che le vecchie bisce bianche si risvegliano nei sepolcri degli storici abati e salgono dagli sfiatatoi dei sotterranei sporgendo gentilmente la testa dalle balaustre dei confessionali.

Così, quella sera il Duomo; traboccante di Dio. E benché sapesse che non gli competeva, don Valentino si tratteneva perfino troppo volentieri a disporre l'inginocchiatoio del presule. Altro che alberi, tacchini e vino spumante. Questa, una serata di Natale. Senonché in mezzo a questi pensieri, udì battere a una porta. "Chi bussa alle porte del Duomo" si chiese don Valentino "la sera di Natale? Non hanno ancora pregato abbastanza? Che smania li ha presi?" Pur dicendosi così andò ad aprire e con una folata divento entrò un poverello in cenci.

"Che quantità di Dio! " esclamò sorridendo costui guardandosi intorno- "Che bellezza! Lo si sente perfino di fuori.

Monsignore, non me ne potrebbe lasciare un pochino? Pensi, è la sera di Natale. "

"E' di sua eccellenza l'arcivescovo" rispose il prete. "Serve a lui, fra un paio d'ore. Sua eccellenza fa già la vita di un santo, non pretenderai mica che adesso rinunci anche a Dio! E poi io non sono mai stato monsignore."

"Neanche un pochino, reverendo? Ce n'è tanto! Sua eccellenza non se ne accorgerebbe nemmeno!"

"Ti ho detto di no... Puoi andare... Il Duomo è chiuso al pubblico" e congedò il poverello con un biglietto da cinque lire.

Ma come il disgraziato uscì dalla chiesa, nello stesso istante Dio disparve. Sgomento, don Valentino si guardava intorno, scrutando le volte tenebrose: Dio non c'era neppure lassù. Lo spettacoloso apparato di colonne, statue, baldacchini, altari, catafalchi, candelabri, panneggi, di solito così misterioso e potente, era diventato all'improvviso inospitale e sinistro. E tra un paio d'ore l'arcivescovo sarebbe disceso.

Con orgasmo don Valentino socchiuse una delle porte esterne, guardò nella piazza. Niente. Anche fuori, benché fosse Natale, non c'era traccia di Dio. Dalle mille finestre accese giungevano echi di risate, bicchieri infranti, musiche e perfino bestemmie. Non campane, non canti.

Don Valentino uscì nella notte, se n'andò per le strade profane, tra fragore di scatenati banchetti. Lui però sapeva l'indirizzo giusto. Quando entrò nella casa, la famiglia amica stava sedendosi a tavola. Tutti si guardavano benevolmente l'un l'altro e intorno ad essi c'era un poco di Dio.

"Buon Natale, reverendo" disse il capofamiglia. "Vuol favorire?"

"Ho fretta, amici" rispose lui. "Per una mia sbadataggine Iddio ha abbandonato il Duomo e sua eccellenza tra poco va a pregare. Non mi potete dare il vostro? Tanto, voi siete in compagnia, non ne avete un assoluto bisogno."

"Caro il mio don Valentino" fece il capofamiglia. "Lei dimentica, direi, che oggi è Natale. Proprio oggi i miei figli dovrebbero far a meno di Dio? Mi meraviglio, don Valentino."

E nell'attimo stesso che l'uomo diceva così Iddio sgusciò fuori dalla stanza, i sorrisi giocondi si spensero e il cappone arrosto sembrò sabbia tra i denti.

Via di nuovo allora, nella notte, lungo le strade deserte. Cammina cammina, don Valentino infine lo rivide. Era giunto alle porte della città e dinanzi a lui si stendeva nel buio, biancheggiando un poco per la neve, la grande campagna. Sopra i prati e i filari di gelsi, ondeggiava Dio, come aspettando. Don Valentino cadde in ginocchio.

"Ma che cosa fa, reverendo?" gli domandò un contadino. "Vuoi prendersi un malanno con questo freddo?"

"Guarda laggiù figliolo. Non vedi?"

Il contadino guardò senza stupore. "È nostro" disse. "Ogni Natale viene a benedire i nostri campi."

" Senti " disse il prete. "Non me ne potresti dare un poco? In città siamo rimasti senza, perfino le chiese sono vuote. Lasciamene un pochino che l'arcivescovo possa almeno fare un Natale decente."

"Ma neanche per idea, caro il mio reverendo! Chi sa che schifosi peccati avete fatto nella vostra città. Colpa vostra. Arrangiatevi."

"Si è peccato, sicuro. E chi non pecca? Ma puoi salvare molte anime figliolo, solo che tu mi dica di sì."

"Ne ho abbastanza di salvare la mia!" ridacchiò il contadino, e nell'attimo stesso che lo diceva, Iddio si sollevò dai suoi campi e scomparve nel buio.

Andò ancora più lontano, cercando. Dio pareva farsi sempre più raro e chi ne possedeva un poco non voleva cederlo (ma nell'atto stesso che lui rispondeva di no, Dio scompariva, allontanandosi progressivamente).

Ecco quindi don Valentino ai limiti di una vastissima landa, e in fondo, proprio all'orizzonte, risplendeva dolcemente Dio come una nube oblunga. Il pretino si gettò in ginocchio nella neve. "Aspettami, o Signore " supplicava "per colpa mia l'arcivescovo è rimasto solo, e stasera è Natale!"

Aveva i piedi gelati, si incamminò nella nebbia, affondava fino al ginocchio, ogni tanto stramazzava lungo disteso. Quanto avrebbe resistito?

Finché udì un coro disteso e patetico, voci d'angelo, un raggio di luce filtrava nella nebbia. Aprì una porticina di legno: era una grandissima chiesa e nel mezzo, tra pochi lumini, un prete stava pregando. E la chiesa era piena di paradiso.

"Fratello" gemette don Valentino, al limite delle forze, irto di ghiaccioli "abbi pietà di me. Il mio arcivescovo per colpa mia è rimasto solo e ha bisogno di Dio. Dammene un poco, ti prego."

Lentamente si voltò colui che stava pregando. E don Valentino, riconoscendolo, si fece, se era possibile, ancora più pallido.

"Buon Natale a te, don Valentino" esclamò l'arcivescovo facendosi incontro, tutto recinto di Dio. "Benedetto ragazzo, ma dove ti eri cacciato? Si può sapere che cosa sei andato a cercar fuori in questa notte da lupi?"







domenica 1 dicembre 2013

Napoleone cattolico dimostra l'esistenza di Dio

NAPOLEONE BONAPARTE
CONVERSAZIONI SUL CRISTIANESIMO
Ragionare nella fede
Prefazione
Giacomo Biffi
Traduzione
Vito Patella
Curatela
Giorgio Carbone O.P.
Titolo originale: Sentiment de Napoléon sur le christianisme, Conversations
religieuses, recueillies à Sainte Hélène par M. le Général Comte de
Montholon et parM. le Chevalier de Beauterne,Waille, Paris 1843.



Prova dell’esistenza di Dio
Il generale Bertrand diceva all’Imperatore: «Sire, lei crede
in Dio, e anch’io credo; ma insomma, che cosa ne sa?
L’ha per caso visto?».
E l’Imperatore replicava: «Che cosa è Dio? Che cosa ne
so io? Ma allora, risponda lei a questa domanda: Come
giudica se un uomo è geniale? È una cosa che lei ha mai
vista, dico il genio? Che cosa ne sa lei, per credere nel
genio? La risposta è: si vede l’effetto, e da questo si risale
alla causa, e si crede che questa causa esista, insomma
che essa sia reale. Le faccio questo esempio: quando
durante una battaglia le cose si mettono al peggio, lei
cosa fa? Comincia a guardare verso di me, per trovare
una via d’uscita. Perché guarda a me? Perché ha l’istinto
di credere nel mio genio; ne ha bisogno. Nel folto della
mischia, quando le sorti della battaglia erano incerte, perché
lei, generale, mi cercava con lo sguardo, le sue labbra
quasi mi chiamavano, e da ogni parte si sentiva gridare:
Dov’è l’Imperatore, e quali sono i suoi ordini? E questo
era il grido dell’istinto, e della fede in me.
Ecco, anch’io ho un istinto, una fede, una certezza, un
grido che mio malgrado esce dal mio petto, quando rifletto
e guardo la natura, e mi dico: Dio! Resto ammirato
e grido: Sì, Dio c’è! Come le mie vittorie hanno convinto
lei a credere in me; così l’universo mi fa credere in Dio.
Io credo in Dio, a causa di ciò che vedo, e di ciò che
sento. Questi effetti mirabili dell’onnipotenza divina non
sono altrettanto eloquenti delle mie vittorie? Cosa vuole
che sia la manovra militare più brillante, a confronto del
movimento degli astri?

Lei che crede al genio, mi dica, la prego, da dove vengono
all’uomo di genio l’inventiva, l’ispirazione, l’intuito?
Mi risponda! Qual è la causa prima d tutto ciò? Lei dirà
che lo ignora. Anch’io. Ma il talento di cui parliamo non
è forse altrettanto evidente e tangibile di tanti fatti?
Se ci sono tante differenze tra gli uomini, Qualcuno ha
creato queste differenze, e questo Qualcuno non è né lei,
né io. Ma rimane il fatto che il genio è solo un vocabolo
che non ci dice niente sulle sue cause.
E se qualcuno mi obietta: Sono gli organi! Ecco, questa è
una sciocchezza buona per un sempliciotto, non certo
per me: mi capisce?
Il suo spirito, generale, è forse uguale a quello del pastore
che di qui vediamo nella valle a sorvegliare le pecore?
Non c’è, tra il suo spirito e quello del pastore, la stessa differenza
che c’è tra quello di un cavallo e quello di un
uomo? Sì? Ma come fa ad affermarlo con tanta sicurezza?
Lei in realtà non ha mai visto lo spirito di quell’uomo, perché
lo spirito è invisibile. Però, lei ha parlato con quel
pastore, gli ha fatto delle domande e dalle risposte lei ha
capito chi egli sia; cioè lei ha capito la causa dagli effetti, e
ha ragione. Certamente, la sua intelligenza, la sua ragione,
insomma le sue facoltà sono superiori a quelle del pastore.
Ecco, a me gli effetti divini fanno pensare a una causa
divina, perché c’è una ragione superiore, un Essere Infinito,
che è la causa delle cause, ed è anche la causa della
sua [di Bertrand] intelligenza.
Generale Bertrand, c’è un Essere Infinito in confronto al
quale lei non è che un atomo; in confronto al quale anch’io,
Napoleone, con tutto il mio genio, sono niente: lo
capisce? Io lo sento, questo Dio… lo vedo… ne ho bisogno…
credo in lui… E se lei non crede, peggio per lei…
Ma a me la cosa sta a cuore… alla buon’ora, generale,
lei crede in Dio! Io perdono molte cose,ma ho orrore degli
atei e dei materialisti…Cosa vuole che io abbia in comune
con un uomo che non crede all’esistenza dell’anima, e che
crede che l’uomo sia un mucchio di fango? Cosa vuole che
io abbia in comune con un uomo che pretende che io sia,

come lui pensa di essere, solo un mucchio di fango?».

Fonte: www.edizionistudiodomenicano