La pace sia con te

domenica 21 dicembre 2014

Buon Natale e Felice Anno Nuovo con un racconto di Giovanni Guareschi

Buon Natale e  Felice Anno Nuovo











Filippo Lippi, La Madonna delle Rocce











In questa occasione  Vi propongo  la lettura di  un racconto di Giovanni Guareschi, anzi la prima storia, in cui il burbero Guareschi, col suo stile asciutto e inconfondibile, ci offre un esempio di fede autentica anche se apparentemente paradossale. 

PRIMA STORIA Giovanni Guareschi







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lunedì 17 novembre 2014

Andrea Baroni nei campi di concentramento tedeschi

Considerazioni su un'intervista al generale Baroni

Andrea Baroni, nato il 14 febbraio 1917, generale dell'Aeronautica e storico meteorologo della TV, è morto il 13 novembre 2014 all'età di 97 anni. In questa occasione è stata ripubblicata una sua intervista del 30 gennaio 2011, cioè di quando aveva 94 anni ed era in piena forma. 


Il generale Baroni nell'intervista mostra la sua eccezionale simpatia, dote già esibita nella conduzione della rubrica “Che tempo fa? ” ed, en passant, racconta in maniera candida e distaccata il periodo della seconda guerra mondiale, presentando un lato poco conosciuto della sua straordinaria umanità.
Leggendola mi sono venuti alcuni pensieri, che esporrò alla fine delle citazioni (in corsivo) delle parole del generale che, proprio perché dette incidentalmente in altro contesto, mi sembrano attendibili ed illuminanti di un periodo storico controverso.
All'epoca tenente, viene fatto prigioniero dai tedeschi nel settembre 1943 e si fa un anno e mezzo circa di prigionia, in diversi campi di concentramento:

«Tarnopol in Ucraina. Deblin in Polonia. Poi Berlino, Brema, Sandbostel e Altengrabow in Germania».

Da considerare che il trattamento riservato ai prigionieri italiani non doveva essere di favore, dato che venivano ritenuti dei traditori, come afferma lo stesso Baroni.

«No, eravamo ufficiali che si erano rifiutati di collaborare. Hitler ci definiva traditori e internati militari, non prigionieri. E così la Croce Rossa non poteva intervenire».

A richiesta di un colonnello italiano anch'egli prigioniero il
«25 febbraio 1945, ore 19.40: Andrea Baroni indossa il cappotto russo che aveva acquistato in Ucraina. Scavalca il filo spinato ormai tutto rabberciato che divide dal campo russo e incontra 4 prigionieri, che in cambio della bottiglia di colonia gli danno 5 kg di patate...».

Al rientro al campo italiano, un ufficiale tedesco, quasi come se volesse incitarlo alla fuga «Dice che entro 20 giorni non avranno più cibo da darci. Dice che stanno arrivando i russi...».

«14 marzo 1945, ore 5. Andrea Baroni e un suo amico...
Aiutati dal buio, riusciamo a sparire e viaggiamo fino a Magdeburg...».

La prima considerazione che mi è venuta spontanea è che le condizioni di vita nei campi di concentramento tedeschi dovettero essere terribili e inumane probabilmente solo negli ultimi mesi di guerra (aprile-maggio 1945), quando la Germania era ormai allo sfascio e non aveva più cibo, non perché i tedeschi fossero particolarmente criminali. Così si spiegano le immagini dei prigionieri trovati nei campi di concentramento e liberati degli americani nell'aprile-maggio 1945, ridotti a pelle e ossa. Infatti l'ufficiale tedesco, che consiglia la fuga ad Andrea Baroni, il 25 febbraio 1945 gli confida che pochi giorni ancora e non avrebbero avuto più cibo da dare ai prigionieri, che fino a quel momento era stati sempre forniti della razione giornaliera, come è affermato nell'intervista.

La seconda considerazione: non tutti i militari e ufficiali tedeschi erano crudeli e spietati. Non credo infatti che Baroni abbia incontrato l'unico tedesco buono.

Terza considerazione: anche i prigionieri russi venivano trattati in maniera non particolarmente crudele, considerato che gli stessi apprezzavano più una bottiglietta di profumo che 5 chili di patate.

Quarta: Baroni da prigioniero aveva potuto comprare un cappotto in Ucraina, segno che i tedeschi non gli avevano tolto neanche il danaro o eventuali oggetti di valore in suo possesso: in una parola avevano rispettato certi suoi diritti, nonostante lo ritenessero un traditore.

Quinta: pur non essendo stata una villeggiatura il periodo di prigionia non doveva aver inciso in maniera troppo debilitante e dura, visto che il generale è vissuto fino a quasi 98 anni. Qui bisogna aggiungere che Andrea Baroni, essendo scappato dal campo di concentramento il 14 marzo 1945, riuscì ad evitare il periodo di fame, provocato dalla carenza di cibo degli ultimi due mesi di guerra.


Sesta: la guerra “ non è un pranzo di gala; non è un'opera letteraria, un disegno, un ricamo; non la si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità e delicatezza, o con altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità.” Ma dare tutte le colpe ai tedeschi …. questo sì non è magnanimo e cortese.



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venerdì 19 settembre 2014

Raoul Wallenberg: il mistero della sua morte.


Così Stalin uccise il diplomatico svedese Wallenberg

Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini

(Libera traduzione)  Quello che non fecero i nazisti tedeschi e ungheresi lo fecero i  comunisti sovietici






Mosca - Un mistero che dura da oltre mezzo secolo. Una tragedia che è stata celata dal segreto di Stato e dall’oblio del tempo. Su tutto un’unica certezza: Raoul Wallenberg è morto per opera dei famigerati servizi segreti sovietici alla fine della Seconda guerra mondiale. Il giovane Wallenberg non era un diplomatico svedese qualsiasi. Era un eroe che, nell’Ungheria dilaniata dalla furia nazista, mise in salvo migliaia di ebrei: c'è chi dice 30 mila, altri 100mila. Poco più che trentenne, appartenente ad una delle più ricche famiglie scandinave, venne mandato dal governo di Stoccolma, in accordo con Washington, a Budapest con l’intento di organizzare un’operazione di salvataggio degli ebrei ungheresi. Tra il maggio ed il giugno del 1944 le SS, comandate da Adolf Eichmann, ne deportarono in 148 treni oltre 400mila e stavano preparando un piano per sterminare tutti gli ebrei della capitale magiara in un sol giorno. A Budapest, quando arrivò Wallenberg, ne restavano solo 230mila. Grazie alla loro neutralità gli svedesi erano riusciti a stringere un accordo in Ungheria con i nazisti secondo il quale chi aveva attestazioni o lasciapassare dell’ambasciata scandinava veniva trattato come cittadino svedese, quindi poteva godere di immunità. Wallenberg, ufficialmente a Budapest con la carica di primo segretario, si mise subito a stampare più documenti falsi possibili. Poi, usando mezzi tutt'altro che diplomatici e poco ortodossi - sfruttando soprattutto le sue amicizie altolocate -, iniziò a corrompere chi poteva aiutarlo nella sua missione. In poche settimane aprì biblioteche, istituti di cultura e quant'altro su cui issare la bandiera svedese e lì nascondere gli ebrei. La popolazione nelle "case svedesi" arrivò presto a 15mila unità. Nell’autunno '44 ben 340 persone lavoravano a tempo pieno all’ambasciata sotto il comando del giovane Raoul. Nella seconda settimana del gennaio '45 Wallenberg riuscì, grazie alla sua amicizia con il generale August Schmidthuber, comandante dell’esercito tedesco in Ungheria, a fermare il massacro del più grande ghetto di Budapest, organizzato da Eichmann. Poi dopo qualche giorno, tra il 13 ed il 17 gennaio, andò incontro alle truppe sovietiche in avanzata. E da allora scomparve insieme al suo autista Vilmos Langfelder. Decine sono le versioni che circolano da svariati lustri nell’ex Urss. Una commissione mista russo-svedese sta tentando di stabilire la verità da ben nove anni. Le difficoltà sono indubbiamente enormi, dato che parecchi materiali d’archivio sono stati distrutti. In primo luogo non si capisce perchè Wallenberg, che parlava un ottimo russo, abbia voluto contattare l’Armata rossa. [ Il fotografo di Wallenberg, Tom Veres, afferma in un suo articolo  che "assieme al suo autista si stava preparando a  partire per Debrecen per parlare col governo provvisorio sovietico appena insediato e discutere il programma di ricostruzione". Tom Veres. Con Wallenberg contro l'olocausto in "Selezione", agosto 1993]
E in secondo luogo: perchè i sovietici l’hanno arrestato? Si può ipotizzare che l’Nkvd (successivamente denominato Kgb) ritenesse che il giovane svedese fosse una spia americana o dubitasse dei suoi contatti con i tedeschi. Il mese scorso un anziano ucraino, Bogdan Tarnavsky, ha rotto il muro del silenzio dopo 55 anni ed ha ammesso di essere stato lui ad avere arrestato Wallenberg. "Gli gridai di alzare le mani - ha raccontato l’ex partigiano -. Nelle sue tasche vi erano solo un pettine ed uno specchio. Poi trovai, cuciti nel cappotto, due passaporti, uno svedese e l’altro, belga intestati alla stessa persona". Wallenberg venne consegnato alle truppe regolari sovietiche, quindi, via Leopoli, fu trasferito dai servizi segreti di Stalin a Mosca. Nelle memorie di Pavel Sudoplatov si legge che lo svedese fu arrestato per ordine personale di Bulganin ed ucciso con un’iniezione di veleno alla Lubianka su disposizione di Molotov nel 1947. Il suo corpo sarebbe stato cremato al monastero del Don. Questa versione contraddice i risultati di un’inchiesta ufficiale del Cremlino nel '57. Wallenberg era morto sì nel '47, ma per un infarto. Tuttavia alcuni testimoni sono pronti ad affermare che lo svedese sia stato tenuto prigioniero dai sovietici per tutti gli anni Cinquanta. Adesso i tempi a Mosca sono completamente cambiati. Vladimir Putin, prima di diventare capo del Cremlino era responsabile dei servizi segreti, sarebbe intenzionato di fare pubblica ammenda per questo delitto e di svelare la verità di uno dei tanti enigmi della dittatura stalinista. Una commissione presso la presidenza federale, sotto la direzione di Aleksandr Jakovlev, sta già lavorando alla riabilitazione di Wallenberg
di Giuseppe D’Amato da Mosca

da Agenzia Giornalistica Regionale Quotidiana (AGR) del 25 novembre 2000



domenica 7 settembre 2014

STUDIARE IL LATINO PER CONOSCERE L'ITALIANO

APPELLO PER IL RITORNO DEL LATINO NELLE MEDIE

AVVISO IMPORTANTE.



Il giorno 14 ottobre , tramite la interrogazione scritta n. 4/13607 , ( seduta di annuncio n.535 )

l’onorevole Gianni Mancuso ha inoltrato una interrogazione “affinchè il Governo prenda in considerazione la reintroduzione di un’ora settimanale di insegnamento dei rudimenti della lingua latina nelle scuole medie.”


A mio parere , è una data storica perchè non si parlava di questo da almeno 30 anni.


A me sembra che la soluzione sarebbe l’inserimento di alcune pagine specifiche all’interno della normale grammatica di italiano che tutti posseggono.


[Per facilitare la cosa, pongo a disposizione gratuita il mio libretto di introduzione al latino già adottato nella misura di 11.000 copie.]


Cosa fare?

Fare il possibile affinché i politici di tutti gli schieramenti sostengano tale interrogazione.

Chiedo che anche Voi vi mettiate in azione al fine di pervenire a tale traguardo.

Per ulteriori delucidazioni :

Nicolini Dott. Romano

Presidente Associazione “PRO LATINITATE”

Via Garibaldi, 84 – 47 921 Rimini - Tel. 0541 71 88 46 -- 339 84 12 017 – E-mail: rcnico@tin.it

Per chi vuole imparare il latino con il metodo naturale segnalo: 

Hans Horberg, Lingua Latina per se illustrata: 

http://www.scribd.com/doc/149312085/Hans-Orberg-Lingua-Latina-Per-Se-
Illustrata-Pars-I-Familia-Romana

oppure Vives, Exercitationes linguae latinae, usato nei seminari fino agli 
anni 40 del novecento.


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giovedì 28 agosto 2014

Papa Francesco e la Russia

Papa Franceso e la consacrazione della Russia

Consacrazione e Conversione

Nella terza delle Sue sei apparizioni a Fatima, il 13 luglio 1917, la Beata Vergine Maria disse ai tre pastorelli che Ella sarebbe tornata successivamente, per chiedere la consacrazione della Russia al Suo Cuore Immacolato.
Se ascolterete le Mie richieste, la Russia si convertirà e avrete pace; diversamente, diffonderà i suoi errori nel mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa; i buoni saranno martirizzati, il Santo Padre dovrà soffrire molto, diverse nazioni saranno annientate; infine il Mio Cuore Immacolato trionferà. Il Santo Padre Mi consacrerà la Russia, che si convertirà, e sarà concesso al mondo qualche tempo di pace.”
Queste sono le parole della Madre di Dio, come riportate da Suor Lucia nelle sue memorie riguardo alle apparizioni, pubblicate per la prima volta negli anni ’40.


La richiesta

Nel giugno del 1929 la Madonna apparve a Suor Lucia nel suo convento di Tuy, in Spagna. Come anticipato nel 1917, la Beata Vergine richiese la consacrazione che aveva menzionato 12 anni prima a Fatima. Le parole della Madonna sono contenute nelle memorie di Suor Lucia:
E' giunto il momento in cui Dio chiede che il Santo Padre faccia, in unione con tutti i vescovi del mondo, la Consacrazione della Russia al Mio Cuore Immacolato, promettendo in questo modo di salvarla. Sono tante le anime che la Giustizia di Dio condanna per peccati commessi contro di Me, e perciò vengo a chiedere riparazione: sacrificati con questa intenzione e prega.”

Nostro Signore aggiunge un ammonimento

Due anni dopo, nell’estate del 1931, l’urgenza della richiesta venne sottolineata da un’altra apparizione. Questa volta, fu Nostro Signore in Persona a parlare a Suor Lucia, e a darle un ammonimento riguardo alla Consacrazione della Russia:
Fai sapere ai Miei ministri, dato che seguono l'esempio del Re di Francia nel ritardare l'esecuzione della Mia richiesta, che lo seguiranno nella sciagura.”
Si tratta di un riferimento a Luigi XVI, decapitato nel 1793, che aveva consacrato la Francia al Sacro Cuore di Gesù, tardivamente solo dopo essere stato imprigionato durante la Rivoluzione Francese.

Un altro ammonimento

Nella primavera del 1936, Nostro Signore disse a Suor Lucia che la conversione della Russia sarebbe avvenuta solamente se fosse stata consacrata, solennemente e pubblicamente, al Cuore Immacolato di Maria da parte del Papa, insieme a tutti i vescovi del mondo. La Madonna disse a Suor Lucia che, a meno che quella “povera nazione” non fosse stata consacrata come richiesto, la Russia sarebbe diventata lo strumento del castigo mondiale.

La Consacrazione richiesta dalla Vergine Maria è stata tentata dai Papi, iniziando nel 1942 da papa Pio XII, così come indicato nello schema qui sotto.


Papa
Consacrazione
Pio XII
Radiomessaggio 31 maggio 1942
Pio XII
Lettera “Sacro vergente anno” 7 luglio 1952
Pio XII
Enciclica “Ad Coeli Reginam” 11 ottobre 1954 *
Paolo VI
Intervento conciliare 21 novembre 1964
Giovanni Paolo II
Atto del giugno 1981
Giovanni Paolo II
Atto del 14 maggio 1982
Giovanni Paolo II
Consacrazione in Piazza san Pietro il 25 marzo 1984
Francesco
Affidamento del 13 ottobre 2013





*Nota: [Enciclica “Ad Coeli Reginam” 11 ottobre 1954: “con la Nostra autorità apostolica, decretiamo e istituiamo la festa di Maria regina, da celebrarsi ogni anno in tutto il mondo il giorno 31 maggio. Ordiniamo ugualmente che in detto giorno sia rinnovata la consacrazione del genere umano al Cuore Immacolato della beata vergine Maria. “]

Ma come ammesso anche da papa san Giovanni Paolo II, che il giorno dopo la prima Consacrazione affermò di aver “provato a fare tutto ciò che era possibile nelle concrete circostanze”, la Consacrazione non è mai avvenuta come richiesto dalla Vergine a Fatima.



Questo approccio elusivo, infatti, venne mantenuto ancora una volta, due anni dopo, quando il Santo Padre consacrò per l’ennesima volta il mondo al Cuore Immacolato di Maria, in una cerimonia dinanzi a 250.000 persone a Roma, il 25 marzo 1984. Il Papa, deviando dal testo che era stato preparato, chiese alla Madonna di Fatima: “illumina specialmente i popoli di cui tu aspetti la nostra consacrazione e il nostro affidamento”. Il Papa, in questo modo, stava riconoscendo pubblicamente che la consacrazione richiesta dalla Madonna andava ancora compiuta. Queste parole vennero incluse nel rapporto ufficiale dell’evento, da parte de L’Osservatore Romano del 26 marzo 1984.


La Madonna sta “ancora aspettando
la consacrazione
della Russia

Infatti le condizioni richieste dalla Madonna erano: 1) Consacrazione della Russia; 2) Unione con tutti i vescovi del mondo.
Le due condizioni non sono mai rispettate congiuntamente. Infatti papa Pio XII menzionò esplicitamente la Russia, ma non lo fece in unione con tutti i vescovi del mondo. Gli altri papi lo hanno fatto in unione con i vescovi ma non hanno menzionato esplicitamente la Russia.
Ho sintetizzato in maniera laconica la questione, che chi è interessato può consultare in maniera completa anche on line (ad es. http://www.papalepapale.com/develop/la-lunga-marcia-da-fatima-a-putin-breve-storia-della-consacrazione-della-russia/ )
A questo punto, considerate la situazione della Chiesa e di tutti i paesi della terra, credo che la Consacrazione della Russia al Cuore Immacolato da parte del papa in unione con tutti i vescovi del mondo sia ineludibile e improcrastinabile. Solo un intervento divino potrà ristabilire le sorti di questa nostra terra.

   Sarà  papa Francesco a compiere l'atto di consacrazione?

Quale vescovo potrebbe rifiutarsi all'ordine di papa Francesco, visto che a tutt'oggi ha suscitato le speranze e le aspettative di tutti gli uomini, anche dei non cattolici? Inoltre in quanto gesuita è abituato ad ascoltare la curia ma anche poi a decidere in autonomia, senza farsi arginare da motivi di opportunità diplomatiche o politiche. 



Quando molti cuori profondamente desidereranno e pregheranno per la Consacrazione, il momento del suo compimento si avvicinerà e arriverà prima. Pregare e sacrificarsi per quel momento è compito di tutti.”





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venerdì 1 agosto 2014

Riforma liturgica della Chiesa Cattolica e gli agenti d'influenza

La riforma liturgica della Chiesa Cattolica e gli agenti d'influenza

Influenza culturale: la menzogna al potere

In uno dei romanzi di Vladimir Volkoff (1932-2005), Il Montaggio, vengono descritti i meccanismi dell'influenza “culturale” che ha inquinato l'Europa nel secondo dopoguerra. Le citazioni seguenti sono tratte da Vladimir Volkoff, Il Montaggio, Milano CDE, 1983

fonte: http://ucciellino.blogspot.it/2010/08/influenza-culturale-la-menzogna-al.html#n2muVolkoff, 

 Il romanzo, ambientato agli inizi degli anni '80 del XX secolo, descrive mirabilmente come funzionano i media ancor oggi. Dopo aver letto tutte le citazioni, si provi a riflettere sulla “primavera araba”, sulla guerra in Ucraina, sul peso mediatico dei cosiddetti “attentati islamici” degli ultimi anni o sull'assurda sproporzione tra l'esposizione mediatica assicurata ad un qualsiasi “giallo dell'estate” rispetto alle quotidiane stragi di cristiani, se non alla strage per eccellenza (quella dell'aborto procurato). Si provi a ricordare dalla cronaca recente le isterie collettive sugli incidenti aerei, sulle pandemie di suina e aviaria.

Se volete arrivare subito al nocciolo, andate alla fine del post.




I capisaldi del pensiero di Sun Tzu sono sintetizzati da qualcuno nell'ombra [il musulmano, capo della Direzione KGB, Abdulrakmanov] in tredici articoli che sono da leggere e meditare.

Pagina 33:
1- Discredita il bene
2- Comprometti i capi
3- Fa' vacillare la loro fede, abbandonali al disprezzo
4- Serviti di uomini vili
5- Disorganizza le autorità
6- Semina la discordia fra i cittadini
7- Sobilla i giovani contro i vecchi
8- Ridicolizza le tradizioni
9- Sconvolgi i rifornimenti
10- Fa' ascoltare musiche lascive
11- Diffondi la lussuria
12- Sborsa
13- Sii informato


Pagine
55-57: un funzionario [l'ebreo Pitman] del KGB spiega i concetti elementari della propaganda ad uno [Aleksandr Psar] che sta per essere reclutato come agente di influenza:

Il nostro compagno Mao Tse-tung dice che bisogna «mettere nello stampo» la coscienza delle masse avversarie: poiché siamo noi ad aver forgiato lo stampo, poi le teniamo alla nostra mercè. [...] In primo luogo la propaganda bianca, che si giuoca a due e che consiste semplicemente nel ripetere milioni di volte «io sono migliore di te». In secondo luogo, la propaganda nera, che si giuoca a tre: si attribuiscono all'avversario propositi fittizi creati per dispiacere al terzo per il quale si dà questo spettacolo. Poi c'è l'intossicazione, che può essere giuocata a due o a tre; qui si tratta d'ingannare, ma con procedimenti più sottili della menzogna: per esempio io non ti darò informazioni false, ma farò in modo che tu me le rubi. In quarto luogo, c'è la disinformazione, parola di cui ci serviamo anche per designare globalmente tutti questi metodi. In senso stretto, la disinformazione sta all'intossicazione come la strategia sta alla tattica. [...] Il quinto metodo [...] si chiama influenza, gli altri quattro al confronto non sono che giochi da bambini. [...] Quel che bisogna fare, è demolire l'ordine vecchio senza proporre nulla di preciso per sostituirlo: soltanto quando sarà diventato completamente incapace di difendersi, allora si potrà introdurre l'ordine nuovo. Infine, nulla è più antiquato dello schema secondo il quale prima si fa della propaganda, poi si scatena un'insurrezione. In realtà, il terrore è indispensabile, ma soltanto per innescare l'esplosione che, dal canto suo, non ha alcun bisogno d'essere violenta. Karl Marx pensava ancora al binomio enciclopedisti-giacobini, ma noi abbiamo fatto progressi; ora il terrorismo non ha altra utilità che quella di fornirci le occasioni per esercitare ciò che noi chiamiamo la nostra influenza, e questo grazie a mezzi tecnici che Karl Marx non sognava neppure: i mass-media. [...] La cattura di un ostaggio o l'assassinio di un impiegatucolo avranno maggior risonanza di una guerra coloniale del XIX secolo.
Pagine 59-61: il reclutatore spiega cosa significa “operazione di influenza”:
La prima immagine, è la Leva. Più grande è la distanza fra il punto d'appoggio e il punto d'applicazione, più grande è il peso che si può sollevare, mantenendo uguale la forza. Bisogna ben impregnarsi dell'idea che ciò che forma la leva è la distanza stessa e, di conseguenza, cercare sempre di aumentarla, mai di diminuirla. Ne deriva che, nel campo dell'influenza, non bisogna mai agire da soli, ma attraverso un intermediario o, ancor meglio, attraverso una catena d'intermediari. Le darò un esempio storico, perché i grandi uomini del passato ebbero talvolta l'intuizione dei nostri metodi, anche se non li raccolsero mai in un corpo di dottrina. Filippo il Macedone vuole impadronirsi di Atene. Farà la propaganda bianca: «Voi Ateniesi sareste più felici se vi lasciaste governare da me»? No; si limita ainfiltrare il partito pacifista di Eubulo, e Atene gli cade in mano come un frutto maturo. Questo partito fu la leva di Filippo. L'utilizzazione dei pacifisti è, del resto, divenuta classica; lo imparerà se seguirà il nostro corso: quando si vogliono mettere le mani su un paese, vi si crea un partito della pace, che si cerca di rendere popolare, e un partito bellicista che si discredita da solo, perché ben poche persone ragionevoli possono risolversi ad auspicare la guerra. Quando ero bambino, molti genitori francesi non regalavano giocattoli guerreschi ai loro figli. I poveri ragazzi sono cresciuti senza soldatini di piombo, senza fucili Eureka. La propaganda pacifista in Francia era un'operazione d'influenza organizzata da Hitler che, in Germania, alimentava il culto dell'esercito. Risultato: la calata di braghe del 1939. [...] Ha visto quel manifesto che rappresenta una madre con il bambino in braccio, e il motto «Lottiamo per la pace»? [...] La leva, è l'ingenuo che contempla il manifesto e ne ripercuote il messaggio; per esempio, il giornalista in buona fede che, credendo alle virtù della pace, non può fare a meno di credere alla sincerità di chiunque la rivendica. [...] Per esempio: tu hai deciso di gettare una certa popolazione nel terrore. Fai commettere un atto terroristico isolato. La stampa conservatrice si scatena per condannare quest'atto. Ma più lo condanna, più gli dà importanza, e, in fin dei conti, lavora per te.
Pagine 61-64: spiega il Vademecum dell'Agente di influenza:
Il Vademecum dà dieci ricette per la creazione di informazioni tendenziose: [...] la contro-verità non verificabile; il miscuglio vero-falso; la deformazione del vero; la modifica del contesto; la sfumatura con la sua variante: le verità selezionate; il commento rafforzato; l'illustrazione; la generalizzazione; le parti disuguali; le parti uguali. [...] Supponiamo, diceva, il seguente fatto storico: Ivanov trova la moglie nel letto di Petrov. [...] Primo caso. Non ci sono testimoni. Il pubblico non sa come stiano le cose, e non ha alcun mezzo per informarsi. Tu dici chiaro e tondo che è stato Petrov a trovare sua moglie nel letto di Ivanov. È ciò che noi chiamiamo una contro-verità non verificabile. Seconda ricetta. Ci sono dei testimoni. Tu scrivi che la coppia Ivanov non funziona e ammetti che, sabato scorso, Ivanov ha sorpreso sua moglie insieme a Petrov. È vero, aggiungi, che la settimana prima era capitato alla Ivanova di sorprendere suo marito insieme alla Petrova. È il procedimento del miscuglio vero-falso.Le proporzioni, naturalmente, possono variare. I ragazzi dell'intossicazione, quando vogliono «convincere» l'avversario gli danno fino all'ottanta per cento di vero contro il venti per cento di falso, perché ciò che importa, al loro livello, è che un preciso punto falso sia tenuto per vero. Noi, disinformatori e agenti d'influenza, giochiamo sulla quantità e troviamo, al contrario, che un solo fatto vero e controllabile ne fa passare molti che non sono né l'uno né l'altro. Terzo trucco. Tu ammetti che la cittadina Ivanova era in camera di Petrov sabato scorso, ma ironizzi sull'argomento letto. Il mobile - dici tu - non c'entra niente con la faccenda. Con maggior verosimiglianza, la Ivanova era semplicemente seduta su una sedia o in una poltrona, ma è nello stile di Ivanov, che ha fin troppo la tendenza a finire sotto la tavola ubriaco, di calunniare la sua infelice consorte. Che cosa si pretendeva che facesse? Che si lasciasse pestare di santa ragione da quell'ubriacone del marito? Avrà creduto essere suo dovere rifugiarsi in camera di Petrov e con ogni probabilità era accompagnata dai suoi bambini in tenera età, poiché, insomma, nulla ci autorizza ad accusarla di averli lasciati alla mercè di quel bruto. Nulla, inoltre, dimostra che la cittadina Petrova non abbia assistito all'incontro Ivanova-Petrov, e la cosa è persino probabile poiché la scena avveniva nella camera occupata dai Petrov nell'appartamento comune che dividono con gli Ivanov. È il trucco della deformazione del vero.Quarto artificio. [...] Ricorri alla modifica del contesto. È esatto, dirai tu: Ivanov ha trovato sua moglie nel letto di Petrov, ma chi non conosce Petrov? è un mostro di concupiscenza. Non è improbabile che abbia subìto quattordici condanne per stupro. Quel giorno, ha incontrato la Ivanova nel corridoio, si è avventato su di lei, l'ha trascinata in camera sua ed era sul punto di violentarla quando, per fortuna, il degno cittadino Ivanov, tornando dalla fabbrica dove aveva ancora una volta ottenuto il premio dei tremila dadi avvitati in due ore e venticinque minuti, ha sfondato la porta e ha salvato la sua casta sposa da un destino peggiore della morte. E la prova, griderai tu a voce alta, la prova è che l'informazione iniziale non fa alcun cenno a rimproveri rivolti da Ivanov a Ivanova. Quinto procedimento: sfumatura. Tu anneghi il fatto vero in una massa di altre informazioni. Petrov, dirai, è uno stakanovista, un famoso suonatore d'armonica e giocatore di dama, è nato a Nizni-Novgorod, è stato artigliere in guerra, ha offerto un canarino alla madre per i suoi sessant'anni, ha delle amanti fra cui una certa Ivanova, gli piace il salame all'aglio, nuota bene sul dorso, sa fare i pelmeni siberiani... ecc. Abbiamo anche un trucco che è l'inverso della sfumatura: le verità selezionate. Scegli, nell'incidente che devi riferire, particolari veridici ma incompleti. Racconti per esempio che Ivanov è entrato in camera di Petrov senza bussare, che la Ivanova è sobbalzata perché era nervosa, che Petrov è parso offeso dalle maniere maleducate di Ivanov, e che, dopo aver scambiato qualche osservazione sul grandissimo rilassamento dei costumi ch'è una delle conseguenze del Vecchio Regime, i coniugi Ivanov sono tornati nella loro camera. Sesto metodo: il commento rafforzato. Tu non modifichi in nulla il fatto storico, ma ne trai, per esempio, una critica degli appartamenti in comune, che scompaiono sempre più rapidamente, ma dove gli incontri fra amanti e mariti avvengono ancora più di frequente di quanto preveda il piano quinquennale. Quindi descrivi una città moderna dove ogni coppia di tortorelle ha il suo appartamentino, dove può tubare a suo piacimento, e dipingi un quadro idillico della sorte invidiabile che in un simile paradiso aspetta gli Ivanov. Il settimo tranello è un'altra forma del sesto: è l'illustrazione, in cui si procede dal generale al particolare e non più dal particolare al generale. Puoi svolgere lo stesso tema: felicità delle coppie nelle città nuove costruite grazie all'efficienza benefica del regime dei Soviet, ma chiudi con un'esclamazione del genere: «Che progresso rispetto ai vecchi appartamenti in comune dove succedevano scene deplorevoli, come quella di quell'Ivanov che ha trovato la moglie nella camera del vicino!» L'ottava tattica è la generalizzazione. Per esempio, tu trai dalla condotta della Ivanova conseguenze sconcertanti sull'ingratitudine, l'infedeltà, la lussuria femminili, senza far parola della complicità di Petrov. O, invece, schiacci Petrov-Casanova, il vile seduttore, e assolvi, fra le acclamazioni della giuria, l'infelice rappresentante di un sesso vergognosamente sfruttato. La nona tecnica si chiama parti disuguali. Ti rivolgi ai tuoi lettori e chiedi loro di commentare l'accaduto. Pubblichi una lettera che condanna la Ivanova, anche se ne hai ricevute cento, e dieci che la giustificano, anche se hai ricevuto soltanto queste dieci. Infine la decima formula è quella delle parti uguali. Ordini a un professore d'università, polemista competente, amato dal pubblico, una difesa degli amanti in cinquanta righe, e chiedi a uno scemo di paese una condanna degli stessi amanti nelle stesse cinquanta righe, ciò che stabilisce l'imparzialità.
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L'immagine del Fil di Ferro deriva dal fatto che, per spezzarlo, bisogna torcerlo nelle due direzioni opposte. Ora lei tocca proprio il fondo della nostra arte, uso la parola di proposito. L'agente d'influenza è il contrario di un propagandista, o meglio è il propagandista assoluto, colui che fa propaganda allo stato puro, mai in favore, sempre contro, senz'altro scopo che dare gioco, allentare, tutto scollare, sciogliere, disfare, disserrare. Se lei continuerà ad avere interesse per noi, le presterò un libro del pensatore cinese Sun Tzu, che visse venticinque secoli fa. Era il Clausewitz del suo tempo. Fra altre cose mirabili, disse questa, ch'egli riferiva alla disposizione delle truppe di fronte al nemico, ma che si adegua perfettamente a noi: la massima finezza è di non presentare una forma che possa essere definita chiaramente. Così facendo, sfuggirai alle indiscrezioni delle spie più perspicaci, e gli intelletti più sagaci non potranno architettare un piano contro di te. Esempio: l'agente di influenza sovietico non si farà mai passare per comunista. Ora con la sinistra, ora con la destra, segherà sistematicamente l'ordine esistente.
E' TUTTO QUELLO CHE SI RITIENE DEBBA FARE E, IN QUESTO RUOLO, GODE DI UN'IMPUNITA' ASSOLUTA.
NESSUNA LEGGE, ALEKSANDR DMITRIC, VOGLIO DIRE NESSUNA LEGGE OCCIDENTALE VIETA DI SCARDINARE LA SOCIETA' IN CUI SI VIVE. BASTA GIOCARE IL ROSSO E IL NERO, IL PARI E IL DISPARI.


Pagina 200:
...Sapeva anche che per fare capovolgere una barca bisogna farla oscillare nei due sensi.

Ma dove Volkoff, secondo me, raggiunge il vertice è quando fa intendere che c'è stato lo zampino di “qualcuno” anche nel modificare la santa Messa cattolica:

Pagina 319-320:
La messa cominciò. Fu di una povertà sconcertante, la volgarità della musichetta sottolineava l'insulsaggine delle strofe. Aleksandr, che ricordava le austere magnificenze del rito gregoriano e talvolta frequentava le chiese ortodosse dove “il Signore si veste di splendore”, non capì nulla di quella parodia d'ufficio protestante con ritornelli numerati e letture fatte in una lingua grossolana, se non plebea.
“Impossibile -disse fra sé- che la Direzione non sia passata di qui. Impossibile che la Chiesa abbia rinunciato spontaneamente alla bellezza di un servizio che dà agli uomini della terra un'idea del Regno dei cieli. Quos vult perdere Directoratus dementat. Mi sembra tuttavia di ricordare che il loro Maestro aveva chiaramente dato la preferenza a Maria e non a Marta”.

Nonostante tutto, qualche cosa finì per svolgersi, senza che egli potesse sapere cosa. Forse lo Spirito Santo era di gusti meno esigenti di Aleksandr, forse aveva deciso di sopportare per umiltà l'ingiuria della bruttezza sistematica, forse un mistero irrefragabile era contenuto nei gesti e nelle parole. Quando dopo un sermone anodino, il prete grigio incominciò a svolgere le sue piccole faccende sull'altare, Aleksandr ne fu prima commosso, poi sconvolto. Quello che si svolgeva lassù, quella messinscena domestica con le stoviglie, il pane, il vino, un bambino che portava l'acqua con le mani rosse di piccolo contadino, tutto questo aveva, nonostante l'inutilità del resto, un significato cruciale. La gente era venuta per questo. Il prete era lì per questo. E questo non era mutato, o ben poco, nel corso di duemila anni.



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sabato 19 luglio 2014

Eugenio Scalfari intervista Papa Francesco: Copia cache


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  1. Eugenio Scalfari intervista Papa Francesco (L'Osservatore ...

    w2.vatican.va/.../francesco/.../papa-francesco_20131002_intervista-scalf...
    02/ott/2013 - Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano la Repubblica, intervista Papa Francesco (L'Osservatore Romano, 2 ottobre 2013)

  2. INTERVISTA CON PAPA FRANCESCO
    DEL FONDATORE DI REPUBBLICA
                        da L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 225, Merc. 02/10/2013

    La luce che abbiamo nell’anima
    Intervista che Papa Francesco ha rilasciato al fondatore di Repubblica, comparsa sul quotidiano romano del 1° ottobre.
    di Eugenio Scalfari
    Mi dice Papa Francesco: «I più gravi dei mali che affliggono il mondo in questi anni sono la disoccupazione dei giovani e la solitudine in cui vengono lasciati i vecchi. I vecchi hanno bisogno di cure e di compagnia; i giovani di lavoro e di speranza, ma non hanno né l’uno né l’altra, e il guaio è che non li cercano più. Sono stati schiacciati sul presente. Mi dica lei: si può vivere schiacciati sul presente? Senza memoria del passato e senza il desiderio di proiettarsi nel futuro costruendo un progetto, un avvenire, una famiglia? È possibile continuare così? Questo, secondo me, è il problema più urgente che la Chiesa ha di fronte a sé».
    Santità, gli dico, è un problema soprattutto politico ed economico, riguarda gli Stati, i governi, i partiti, le associazioni sindacali.
    «Certo, lei ha ragione, ma riguarda anche la Chiesa, anzi soprattutto la Chiesa perché questa situazione non ferisce solo i corpi ma anche le anime. La Chiesa deve sentirsi responsabile sia delle anime sia dei corpi».
    Santità, Lei dice che la Chiesa deve sentirsi responsabile. Debbo dedurne che la Chiesa non è consapevole di questo problema e che Lei la incita in questa direzione?
    «In larga misura quella consapevolezza c’è, ma non abbastanza. Io desidero che lo sia di più. Non è questo il solo problema che abbiamo di fronte ma è il più urgente e il più drammatico».
    L’incontro con Papa Francesco è avvenuto martedì scorso nella sua residenza di Santa Marta, in una piccola stanza spoglia, un tavolo e cinque o sei sedie, un quadro alla parete. Era stato preceduto da una telefonata che non dimenticherò finché avrò vita.
    Erano le due e mezza del pomeriggio. Squilla il mio telefono e la voce alquanto agitata della mia segretaria mi dice: «Ho il Papa in linea glielo passo immediatamente».
    Resto allibito mentre già la voce di Sua Santità dall’altro capo del filo dice: «Buongiorno, sono Papa Francesco». Buongiorno Santità — dico io e poi — sono sconvolto non m’aspettavo mi chiamasse. «Perché sconvolto? Lei mi ha scritto una lettera chiedendo di conoscermi di persona. Io avevo lo stesso desiderio e quindi son qui per fissare l’appuntamento. Vediamo la mia agenda: mercoledì non posso, lunedì neppure, le andrebbe bene martedì?».
    Rispondo: va benissimo.
    «L’orario è un po’ scomodo, le 15, le va bene? Altrimenti cambiamo giorno». Santità, va benissimo anche l’orario. «Allora siamo d’accordo: martedì 24 alle 15. A Santa Marta. Deve entrare dalla porta del Sant’Uffizio».
    Non so come chiudere questa telefonata e mi lascio andare dicendogli: posso abbracciarla per telefono? «Certamente, l’abbraccio anch’io. Poi lo faremo di persona, arrivederci».
    Ora son qui. Il Papa entra e mi dà la mano, ci sediamo. Il Papa sorride e mi dice: «Qualcuno dei miei collaboratori che la conosce mi ha detto che lei tenterà di convertirmi».
    È una battuta gli rispondo. Anche i miei amici pensano che sia Lei a volermi convertire.
    Ancora sorride e risponde: «Il proselitismo è una solenne sciocchezza, non ha senso. Bisogna conoscersi, ascoltarsi e far crescere la conoscenza del mondo che ci circonda. A me capita che dopo un incontro ho voglia di farne un altro perché nascono nuove idee e si scoprono nuovi bisogni. Questo è importante: conoscersi, ascoltarsi, ampliare la cerchia dei pensieri. Il mondo è percorso da strade che riavvicinano e allontanano, ma l’importante è che portino verso il Bene».
    Santità, esiste una visione del Bene unica? E chi la stabilisce?
    «Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene».
    Lei, Santità, l’aveva già scritto nella lettera che mi indirizzò. La coscienza è autonoma, aveva detto, e ciascuno deve obbedire alla propria coscienza. Penso che quello sia uno dei passaggi più coraggiosi detti da un Papa.
    «E qui lo ripeto. Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo».
    La Chiesa lo sta facendo?
    «Sì, le nostre missioni hanno questo scopo: individuare i bisogni materiali e immateriali delle persone e cercare di soddisfarli come possiamo. Lei sa cos’è l’“agape”?».
    Sì, lo so.
    «È l’amore per gli altri, come il nostro Signore l’ha predicato. Non è proselitismo, è amore. Amore per il prossimo, lievito che serve al bene comune».
    Ama il prossimo come te stesso.
    «Esattamente, è così».
    Gesù nella sua predicazione disse che l’agape, l’amore per gli altri, è il solo modo di amare Dio. Mi corregga se sbaglio.
    «Non sbaglia. Il Figlio di Dio si è incarnato per infondere nell’anima degli uomini il sentimento della fratellanza. Tutti fratelli e tutti figli di Dio. Abba, come lui chiamava il Padre. Io vi traccio la via, diceva. Seguite me e troverete il Padre e sarete tutti suoi figli e lui si compiacerà in voi. L’agape, l’amore di ciascuno di noi verso tutti gli altri, dai più vicini fino ai più lontani, è appunto il solo modo che Gesù ci ha indicato per trovare la via della salvezza e delle Beatitudini».
    Tuttavia l’esortazione di Gesù, l’abbiamo ricordato prima, è che l’amore per il prossimo sia eguale a quello che abbiamo per noi stessi. Quindi quello che molti chiamano narcisismo è riconosciuto come valido, positivo, nella stessa misura dell’altro. Abbiamo discusso a lungo su questo aspetto.
    «A me — diceva il Papa — la parola narcisismo non piace, indica un amore smodato verso se stessi e questo non va bene, può produrre danni gravi non solo all’anima di chi ne è affetto ma anche nel rapporto con gli altri, con la società in cui vive. Il vero guaio è che i più colpiti da questo che in realtà è una sorta di disturbo mentale sono persone che hanno molto potere. Spesso i Capi sono narcisi».
    Anche molti Capi della Chiesa lo sono stati.
    «Sa come la penso su questo punto? I Capi della Chiesa spesso sono stati narcisi, lusingati e malamente eccitati dai loro cortigiani. La corte è la lebbra del papato».
    La lebbra del papato, ha detto esattamente così. Ma qual è la corte? Allude forse alla Curia? ho chiesto.
    «No, in Curia ci sono talvolta dei cortigiani, ma la Curia nel suo complesso è un’altra cosa. È quella che negli eserciti si chiama l’intendenza, gestisce i servizi che servono alla Santa Sede. Però ha un difetto: è Vaticano-centrica. Vede e cura gli interessi del Vaticano, che sono ancora, in gran parte, interessi temporali. Questa visione Vaticano-centrica trascura il mondo che ci circonda. Non condivido questa visione e farò di tutto per cambiarla. La Chiesa è o deve tornare ad essere una comunità del popolo di Dio e i presbiteri, i parroci, i Vescovi con cura d’anime, sono al servizio del popolo di Dio. La Chiesa è questo, una parola non a caso diversa dalla Santa Sede che ha una sua funzione importante ma è al servizio della Chiesa. Io non avrei potuto avere la piena fede in Dio e nel suo Figlio se non mi fossi formato nella Chiesa e ho avuto la fortuna di trovarmi, in Argentina, in una comunità senza la quale non avrei preso coscienza di me e della mia fede».
    Lei ha sentito la sua vocazione fin da giovane?
    «No, non giovanissimo. Avrei dovuto fare un altro mestiere secondo la mia famiglia, lavorare, guadagnare qualche soldo. Feci l’università. Ebbi anche una insegnante verso la quale concepii rispetto e AMICIZIA, era una comunista fervente. Spesso mi leggeva e mi dava da leggere testi del Partito comunista. Così conobbi anche quella concezione molto materialistica. Ricordo che mi fece avere anche il comunicato dei comunisti americani in difesa dei Rosenberg che erano stati condannati a morte. La donna di cui le sto parlando fu poi arrestata, torturata e uccisa dal regime dittatoriale allora governante in Argentina».
    Il comunismo la sedusse?
    «Il suo materialismo non ebbe alcuna presa su di me. Ma conoscerlo attraverso una persona coraggiosa e onesta mi è stato utile, ho capito alcune cose, un aspetto del sociale, che poi ritrovai nella dottrina sociale della Chiesa».
    La teologia della liberazione, che Papa Wojty?a ha scomunicato, era abbastanza presente nell’America Latina.
    «Sì, molti suoi esponenti erano argentini».
    Lei pensa che sia stato giusto che il Papa li combattesse?
    «Certamente davano un seguito politico alla loro teologia, ma molti di loro erano credenti e con un alto concetto di umanità».
    Santità, mi permette di dirle anch’io qualche cosa sulla mia formazione culturale? Sono stato educato da una madre molto cattolica. A 12 anni vinsi addirittura una gara di catechismo tra tutte le parrocchie di Roma ed ebbi un premio dal Vicariato. Mi comunicavo il primo venerdì di ogni mese, insomma praticavo la liturgia e credevo. Ma tutto cambiò quando entrai al liceo. Lessi, tra gli altri testi di filosofia che studiavamo, il Discorso sul metodo di Descartes e rimasi colpito dalla frase, ormai diventata un’icona, «Penso, dunque sono». L’io divenne così la base dell’esistenza umana, la sede autonoma del pensiero.
    «Descartes tuttavia non ha mai rinnegato la fede del Dio trascendente».
    È vero, ma aveva posto il fondamento d’una visione del tutto diversa e a me accadde di incamminarmi in quel percorso che poi, corroborato da altre letture, mi ha portato a tutt’altra sponda.
    «Lei però, da quanto ho capito, è un non credente ma non un anticlericale. Sono due cose molto diverse».
    È vero, non sono anticlericale, ma lo divento quando incontro un clericale.
    Lui sorride e mi dice: «Capita anche a me, quando ho di fronte un clericale divento anticlericale di botto. Il clericalismo non dovrebbe aver niente a che vedere con il cristianesimo. San Paolo che fu il primo a parlare ai Gentili, ai pagani, ai credenti in altre religioni, fu il primo a insegnarcelo».
    Posso chiederle, Santità, quali sono i santi che lei sente più vicini all’anima sua e sui quali si è formata la sua esperienza religiosa?
    «San Paolo è quello che mise i cardini della nostra religione e del nostro credo. Non si può essere cristiani consapevoli senza San Paolo. Tradusse la predicazione di Cristo in una struttura dottrinaria che, sia pure con gli aggiornamenti di un’immensa quantità di pensatori, di teologi, di pastori d’anime, ha resistito e resiste dopo duemila anni. E poi Agostino, Benedetto e Tommaso e Ignazio. E naturalmente Francesco. Debbo spiegarle il perché?».
    Francesco — mi sia consentito a questo punto di chiamare così il Papa perché è lui stesso a suggerirtelo per come parla, per come sorride, per le sue esclamazioni di sorpresa o di condivisione — mi guarda come per incoraggiarmi a porre anche le domande più scabrose e più imbarazzanti per chi guida la Chiesa. Sicché gli chiedo: di Paolo ha spiegato l’importanza e il ruolo che ha svolto, ma vorrei sapere quale tra quelli che ha nominato sente più vicino all’anima sua?
    «Mi chiede una classifica, ma le classifiche si possono fare se si parla di sport o di cose analoghe. Potrei dirle il nome dei migliori calciatori dell’Argentina. Ma i santi...».
    Si dice scherza coi fanti, conosce il proverbio?
    «Appunto. Tuttavia non voglio evadere alla sua domanda perché lei non mi ha chiesto una classifica sull’importanza culturale e religiosa ma chi è più vicino alla mia anima. Allora le dico: Agostino e Francesco».
    Non Ignazio, dal cui Ordine Lei proviene?
    «Ignazio, per comprensibili ragioni, è quello che conosco più degli altri. Fondò il nostro Ordine. Le ricordo che da quell’Ordine proveniva anche Carlo Maria Martini, a me ed anche a lei molto caro. I gesuiti sono stati e tuttora sono il lievito — non il solo ma forse il più efficace — della cattolicità: cultura, insegnamento, testimonianza missionaria, fedeltà al Pontefice. Ma Ignazio che fondò la Compagnia, era anche un riformatore e un mistico. Soprattutto un mistico».
    E pensa che i mistici sono stati importanti per la Chiesa?
    «Sono stati fondamentali. Una religione senza mistici è una filosofia».
    Lei ha una vocazione mistica?
    «A lei che cosa le sembra?».
    A me sembra di no.
    «Probabilmente ha ragione. Adoro i mistici; anche Francesco per molti aspetti della sua vita lo fu ma io non credo d’avere quella vocazione e poi bisogna intendersi sul significato profondo di quella parola. Il mistico riesce a spogliarsi del fare, dei fatti, degli obiettivi e perfino della pastoralità missionaria e s’innalza fino a raggiungere la comunione con le Beatitudini. Brevi momenti che però riempiono l’intera vita».
    A Lei è mai capitato?
    «Raramente. Per esempio quando il Conclave mi elesse Papa. Prima dell’accettazione chiesi di potermi ritirare per qualche minuto nella stanza accanto a quella con il balcone sulla piazza. La mia testa era completamente vuota e una grande ansia mi aveva invaso. Per farla passare e rilassarmi chiusi gli occhi e scomparve ogni pensiero, anche quello di rifiutarmi ad accettare la carica come del resto la procedura liturgica consente. Chiusi gli occhi e non ebbi più alcuna ansia o emotività. A un certo punto una grande luce mi invase, durò un attimo ma a me sembrò lunghissimo. Poi la luce si dissipò io m’alzai di scatto e mi diressi nella stanza dove mi attendevano i cardinali e il tavolo su cui era l’atto di accettazione. Lo firmai, il cardinal Camerlengo lo controfirmò e poi sul balcone ci fu l’Habemus Papam».
    Rimanemmo un po’ in silenzio, poi dissi: parlavamo dei santi che lei sente più vicini alla sua anima ed eravamo rimasti ad Agostino. Vuole dirmi perché lo sente molto vicino a sé?
    «Anche il mio predecessore ha Agostino come punto di riferimento. Quel santo ha attraversato molte vicende nella sua vita e ha cambiato più volte la sua posizione dottrinaria. Ha anche avuto parole molto dure nei confronti degli ebrei, che non ho mai condiviso. Ha scritto molti libri e quello che mi sembra più rivelatore della sua intimità intellettuale e spirituale sono le Confessioni, contengono anche alcune manifestazioni di misticismo ma non è affatto, come invece molti sostengono, il continuatore di Paolo. Anzi, vede la Chiesa e la fede in modo profondamente diverso da Paolo, forse anche perché erano passati quattro secoli tra l’uno e l’altro».
    Qual è la differenza, Santità?
    «Per me è in due aspetti, sostanziali. Agostino si sente impotente di fronte all’immensità di Dio e ai compiti ai quali un cristiano e un vescovo dovrebbe adempiere. Eppure lui impotente non fu affatto, ma l’anima sua si sentiva sempre e comunque al di sotto di quanto avrebbe voluto e dovuto. E poi la grazia dispensata dal Signore come elemento fondante della fede. Della vita. Del senso della vita. Chi è non toccato dalla grazia può essere una persona senza macchia e senza paura come si dice, ma non sarà mai come una persona che la grazia ha toccato. Questa è l’intuizione di Agostino».
    Lei si sente toccato dalla grazia?
    «Questo non può saperlo nessuno. La grazia non fa parte della coscienza, è la quantità di luce che abbiamo nell’anima, non di sapienza né di ragione. Anche lei, a sua totale insaputa, potrebbe essere toccato dalla grazia».
    Senza fede? Non credente?
    «La grazia riguarda l’anima».
    Io non credo all’anima.
    «Non ci crede ma ce l’ha».
    Santità, s’era detto che Lei non ha alcuna intenzione di convertirmi e credo che non ci riuscirebbe.
    «Questo non si sa, ma comunque non ne ho alcuna intenzione».
    E Francesco?
    «È grandissimo perché è tutto. Uomo che vuole fare, vuole costruire, fonda un Ordine e le sue regole, è itinerante e missionario, è poeta e profeta, è mistico, ha constatato su se stesso il male e ne è uscito, ama la natura, gli animali, il filo d’erba del prato e gli uccelli che volano in cielo, ma soprattutto ama le persone, i bambini, i vecchi, le donne. È l’esempio più luminoso di quell’agape di cui parlavamo prima».
    Ha ragione Santità, la descrizione è perfetta. Ma perché nessuno dei suoi predecessori ha mai scelto quel nome? E secondo me, dopo di Lei nessun altro lo sceglierà?
    «Questo non lo sappiamo, non ipotechiamo il futuro. È vero, prima di me nessuno l’ha scelto. Qui affrontiamo il problema dei problemi. Vuole bere qualche cosa?».
    Grazie, forse un bicchiere d’acqua.
    Si alza, apre la porta e prega un collaboratore che è all’ingresso di portare due bicchieri d’acqua. Mi chiede se vorrei un caffè, rispondo di no. Arriva l’acqua. Alla fine della nostra conversazione il mio bicchiere sarà vuoto, ma il suo è rimasto pieno. Si schiarisce la gola e comincia.
    «Francesco voleva un Ordine mendicante e anche itinerante. Missionari in cerca di incontrare, ascoltare, dialogare, aiutare, diffondere fede e amore. Soprattutto amore. E vagheggiava una Chiesa povera che si prendesse cura degli altri, ricevesse aiuto materiale e lo utilizzasse per sostenere gli altri, con nessuna preoccupazione di se stessa. Sono passati 800 anni da allora e i tempi sono molto cambiati, ma l’ideale d’una Chiesa missionaria e povera rimane più che valida. Questa è comunque la Chiesa che hanno predicato Gesù e i suoi discepoli».
    Voi cristiani adesso siete una minoranza. Perfino in Italia, che viene definita il giardino del Papa, i cattolici praticanti sarebbero secondo alcuni sondaggi tra l’8 e il 15 per cento. I cattolici che dicono di esserlo ma di fatto lo sono assai poco sono un 20 per cento. Nel mondo esiste un miliardo di cattolici e anche più e con le altre Chiese cristiane superate il miliardo e mezzo, ma il pianeta è popolato da 6-7 miliardi di persone. Siete certamente molti, specie in Africa e nell’America Latina, ma minoranze.
    «Lo siamo sempre stati ma il tema di oggi non è questo. Personalmente penso che essere una minoranza sia addirittura una forza. Dobbiamo essere un lievito di vita e di amore e il lievito è una quantità infinitamente più piccola della massa di frutti, di fiori e di alberi che da quel lievito nascono. Mi pare d’aver già detto prima che il nostro obiettivo non è il proselitismo ma l’ascolto dei bisogni, dei desideri, delle delusioni, della disperazione, della speranza. Dobbiamo ridare speranza ai giovani, aiutare i vecchi, aprire verso il futuro, diffondere l’amore. Poveri tra i poveri. Dobbiamo includere gli esclusi e predicare la pace. Il Vaticano II, ispirato da Papa Giovanni e da Paolo VI, decise di guardare al futuro con spirito moderno e di aprire alla cultura moderna. I padri conciliari sapevano che aprire alla cultura moderna significava ecumenismo religioso e dialogo con i non credenti. Dopo di allora fu fatto molto poco in quella direzione. Io ho l’umiltà e l’ambizione di volerlo fare».
    Anche perché — mi permetto di aggiungere — la società moderna in tutto il pianeta attraversa un momento di crisi profonda e non soltanto economica ma sociale e spirituale. Lei all’inizio di questo nostro incontro ha descritto una generazione schiacciata sul presente. Anche noi non credenti sentiamo questa sofferenza quasi antropologica. Per questo noi vogliamo dialogare con i credenti e con chi meglio li rappresenta.
    «Io non so se sono il migliore che li rappresenta, ma la Provvidenza mi ha posto alla guida della Chiesa e della Diocesi di Pietro. Farò quanto sta in me per adempiere al mandato che mi è stato affidato».
    Gesù, come Lei ha ricordato, ha detto: ama il tuo prossimo come te stesso. Le pare che questo sia avvenuto?
    «Purtroppo no. L’egoismo è aumentato e l’amore verso gli altri diminuito».
    Questo è dunque l’obiettivo che ci accomuna: almeno parificare l’intensità di questi due tipi d’amore. La sua Chiesa è pronta e attrezzata a svolgere questo compito?
    «Lei cosa pensa?».
    Penso che l’amore per il potere temporale sia ancora molto forte tra le mura vaticane e nella struttura istituzionale di tutta la Chiesa. Penso che l’Istituzione predomini sulla Chiesa povera e missionaria che lei vorrebbe.
    «Le cose stanno infatti così e in questa materia non si fanno miracoli. Le ricordo che anche Francesco ai suoi tempi dovette a lungo negoziare con la gerarchia romana e con il Papa per far riconoscere le regole del suo Ordine. Alla fine ottenne l’approvazione ma con profondi cambiamenti e compromessi».
    Lei dovrà seguire la stessa strada?
    «Non sono certo Francesco d’Assisi e non ho la sua forza e la sua santità. Ma sono il vescovo di Roma e il Papa della cattolicità. Ho deciso come prima cosa di nominare un gruppo di otto cardinali che siano il mio consiglio. Non cortigiani ma persone sagge e animate dai miei stessi sentimenti. Questo è l’inizio di quella Chiesa con un’organizzazione non soltanto verticistica ma anche orizzontale. Quando il cardinal Martini ne parlava mettendo l’accento sui Concili e sui Sinodi sapeva benissimo come fosse lunga e difficile la strada da percorrere in quella direzione. Con prudenza, ma fermezza e tenacia».
    E la politica?
    «Perché me lo chiede? Io ho già detto che la Chiesa non si occuperà di politica».
    Però proprio qualche giorno fa ha rivolto un appello ai cattolici a impegnarsi civilmente e politicamente.
    «Non mi sono rivolto soltanto ai cattolici ma a tutti gli uomini di buona volontà. Ho detto che la politica è la prima delle attività civili e ha un proprio campo d’azione che non è quello della religione. Le istituzioni politiche sono laiche per definizione e operano in sfere indipendenti. Questo l’hanno detto tutti i miei predecessori, almeno da molti anni in qua, sia pure con accenti diversi. Io credo che i cattolici impegnati nella politica hanno dentro di loro i valori della religione ma una loro matura coscienza e competenza per attuarli. La Chiesa non andrà mai oltre il compito di esprimere e diffondere i suoi valori, almeno fin quando io sarò qui».
    Ma non è stata sempre così la Chiesa.
    «Non è quasi mai stata così. Molto spesso la Chiesa come istituzione è stata dominata dal temporalismo e molti membri e alti esponenti cattolici hanno ancora questo modo di sentire. Ma ora lasci a me di farle una domanda: lei, laico non credente in Dio, in che cosa crede? Lei è uno scrittore e un uomo di pensiero. Crederà dunque a qualcosa, avrà un valore dominante. Non mi risponda con parole come l’onestà, la ricerca, la visione del bene comune; tutti principi e valori importanti, ma non è questo che le chiedo. Le chiedo che cosa pensa dell’essenza del mondo, anzi dell’universo. Si domanderà certo, come tutti, chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Se le pone anche un bambino queste domande. E lei?».
    Le sono grato di questa domanda. La risposta è questa: io credo nell’Essere, cioè nel tessuto dal quale sorgono le forme, gli Enti.
    «E io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio. E credo in Gesù Cristo, sua incarnazione. Gesù è il mio maestro e il mio pastore, ma Dio, il Padre, Abbà, è la luce e il Creatore. Questo è il mio Essere. Le sembra che siamo molto distanti?».
    Siamo distanti nei pensieri, ma simili come persone umane, animate inconsapevolmente dai nostri istinti che si trasformano in pulsioni, sentimenti, volontà, pensiero e ragione. In questo siamo simili.
    «Ma quello che voi chiamate l’Essere vuole definire come lei lo pensa?».
    L’Essere è un tessuto di energia. Energia caotica ma indistruttibile e in eterna caoticità. Da quell’energia emergono le forme quando l’energia arriva al punto di esplodere. Le forme hanno le loro leggi, i loro campi magnetici, i loro elementi chimici, che si combinano casualmente, evolvono, infine si spengono ma la loro energia non si distrugge. L’uomo è probabilmente il solo animale dotato di pensiero, almeno in questo nostro pianeta e sistema solare. Ho detto è animato da istinti e desideri ma aggiungo che contiene anche dentro di sé una risonanza, un’eco, una vocazione di caos.
    «Va bene. Non volevo che mi facesse un compendio della sua filosofia e mi ha detto quanto mi basta. Osservo dal canto mio che Dio è luce che illumina le tenebre anche se non le dissolve e una scintilla di quella luce divina è dentro ciascuno di noi. Nella lettera che le scrissi ricordo d’averle detto che anche la nostra specie finirà ma non finirà la luce di Dio che a quel punto invaderà tutte le anime e tutto sarà in tutti».
    Sì, lo ricordo bene, disse «tutta la luce sarà in tutte le anime» il che — se posso permettermi — dà più una figura di immanenza che di trascendenza.
    «La trascendenza resta perché quella luce, tutta in tutti, trascende l’universo e le specie che in quella fase lo popolano. Ma torniamo al presente. Abbiamo fatto un passo avanti nel nostro dialogo. Abbiamo constatato che nella società e nel mondo in cui viviamo l’egoismo è aumentato assai più dell’amore per gli altri e gli uomini di buona volontà debbono operare, ciascuno con la propria forza e competenza, per far sì che l’amore verso gli altri aumenti fino a eguagliare e possibilmente superare l’amore per se stessi».
    Qui anche la politica è chiamata in causa.
    «Sicuramente. Personalmente penso che il cosiddetto liberismo selvaggio non faccia che rendere i forti più forti, i deboli più deboli e gli esclusi più esclusi. Ci vuole grande libertà, nessuna discriminazione, non demagogia e molto amore. Ci vogliono regole di comportamento e anche, se fosse necessario, interventi diretti dello Stato per correggere le disuguaglianze più intollerabili».
    Santità, lei è certamente una persona di grande fede, toccato dalla grazia, animato dalla volontà di rilanciare una Chiesa pastorale, missionaria, rigenerata e non temporalistica. Ma da come parla e da quanto io capisco, Lei è e sarà un Papa rivoluzionario. Per metà gesuita, per metà uomo di Francesco, un connubio che forse non si era mai visto. E poi, le piacciono i Promessi Sposi di Manzoni, Holderlin, Leopardi e soprattutto Dostoevskij, il film La strada e Prova d’orchestra di Fellini, Roma città aperta di Rossellini e anche i film di Aldo Fabrizi.
    «Quelli mi piacciono perché li vedevo con i miei genitori quando ero bambino».
    Ecco. Posso suggerirle di vedere due film usciti da poco? Viva la libertà e il film su Fellini di Ettore Scola. Sono certo che le piaceranno. Sul potere gli dico: lo sa che a vent’anni ho fatto un mese e mezzo di esercizi spirituali dai gesuiti? C’erano i nazisti a Roma e io avevo disertato dalla leva militare. Eravamo punibili con la condanna a morte. I gesuiti ci ospitarono a condizione che facessimo gli esercizi spirituali per tutto il tempo in cui eravamo nascosti nella loro casa e così fu.
    «Ma è impossibile resistere a un mese e mezzo di esercizi spirituali», dice lui stupefatto e divertito. Gli racconterò il seguito la prossima volta.
    Ci abbracciamo. Saliamo la breve scala che ci divide dal portone. Prego il Papa di non accompagnarmi ma lui esclude con un gesto. «Parleremo anche del ruolo delle donne nella Chiesa.
    Le ricordo che la Chiesa è femminile».
    E parleremo se Lei vuole anche di Pascal. Mi piacerebbe sapere come la pensa su quella grande anima.
    «Porti a tutti i suoi familiari la mia benedizione e chieda che preghino per me. Lei mi pensi, mi pensi spesso».
    Ci stringiamo la mano e lui resta fermo con le due dita alzate in segno di benedizione. Io lo saluto dal finestrino.
    Questo è Papa Francesco. Se la Chiesa diventerà come lui la pensa e la vuole sarà cambiata un’epoca.



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