La pace sia con te

domenica 20 febbraio 2011

ALLA RICERCA DELL'ANELLO MANCANTE.

Il signore dell’anello mancante.

I biologi raggruppano gli esseri viventi in base ai criteri
da loro stessi utilizzati. Già Aristotele classificò gli
animali in base ai loro mezzi di locomozione e
all’ambiente in cui vivevano.
Linneo sistemò le specie in base alle caratteristiche morfologiche condivise. Il suo sistema fu accettato dagli scienziati e i suoi raggruppamenti furono ccontinuamente perfezionati fino a quando essi
furono riletti secondo le teorie evoluzioniste di discendenza filogenetica proposte da Charles Darwin.
In base a questi concetti noi uomini (Homo sapiens sapiens, Linneo, 1758)
siamo stati incasellati nella famiglia degli ominidi che comprende numerosi
generi estinti e sette diverse specie viventi di grandi scimmie. In pratica
secondo questi criteri evolutivi siamo dei primati bipedi. Non si può infatti negare che l’uomo ha in comune con gli atri primati, dall’uistitì pigmeo al gorilla, le seguenti caratteristiche:
- 5 dita su ogni zampa, con un pollice opponibile e corte unghie per una presa salda su rami e cibo;
- una dentatura non specializzata, vale a dire una dieta onnivora;
- visione a colori e binoculare, con gli occhi cioè rivolti in avanti, per
visualizzare bene le distanze in maniera tridimensionale.
Ci hanno perciò fatto la cortesia di classificarci nella famiglia degli Ominidi (Hominidae, Gray 1825) noti anche come grandi scimmie. Di questo gruppo fanno parte gli oranghi, i gorilla, gli scimpanzé, il genere Homo ed alcuni gruppi fossili, tra i quali gli australopiteci.
Le specie più vicine all’uomo costituiscono poi la sottofamiglia degli Ominini (Homininae). Non è chiaro l’esatto criterio che contraddistingue gli Ominini, ma sono incluse nella sottofamiglia le specie che posseggono almeno il 97% del DNA corrispondente al genoma umano ed hanno qualche capacità di comunicare tra gli individui e una socialità nella famiglia e del branco.
Ora il genoma degli scimpanzé corrisponde al 98,6% a quello dell’uomo e non
ci sono del resto enormi differenze in contenuto genico fra Homo sapiens e gli altri mammiferi quali ad esempio il topo (Mouse Genome Sequencing
Consortium, Nature 2002). Addirittura il pesce palla ha essenzialmente gli
stessi geni e le stesse sequenze geniche regolatorie dell’uomo, ma con solo un ottavo di DNA spazzatura (1). Dai vari progetti sul genoma si ricava che sono più del 99% i geni in comune tra topi e uomini. Però anche i biologi si rendono conto che voler dedurre da ciò una discendenza dell’uomo dal topo sarebbe solo una semplificazione.
Infatti classificare usando come criteri alcuni aspetti materiali e non quelli essenziali è un modo ben suggestivo e probabilmente approssimativo.
Ma anche a voler limitare per il momento le osservazioni all’aspetto fisico
dobbiamo osservare differenze fondamentali tra l’uomo e gli altri primati:
l’uomo è l’unico animale ad avere la faringe (2) ed è l’unico mammifero a
camminare in posizione eretta (3).
Già questi due piccoli particolari avrebbero dovuto far riflettere gli esperti dal classificare nella stessa famiglia scimmie e uomini. Ma evidentemente la troppa erudizione talvolta obnubila la mente, considerato che pure al mercato rionale hanno il buon senso di dividere le mele dalle arance anche se sono entrambe sferiche.
Quando si tratta di catalogare ad esempio i libri, il bibliotecario non tiene certo conto solo del formato della copertina o del numero delle pagine: li cataloga per soggetto e per autore e titolo. Tiene conto cioè del contenuto. Il fatto che gli scrittori e i poeti usino le stesse parole, la medesima punteggiatura e uguali segni ortografici non implica necessariamente che l’uno abbia copiato dall’altro: quello che conta realmente è l’essenza cioè il filo logico che tiene assieme le parole e i concetti. Così il fatto che esseri viventi siano formati delle stesse proteine e minerali e che addirittura abbiano una struttura genomica simile per il 90 % non implica necessariamente che l’uno si sia evoluto dall’altro.
Che poi ci sia una catena evolutiva ininterrotta tra la cellula e l’uomo è una leggenda. La realtà è che le scimmie sono scimmie e gli uomini sono uomini: tra le due specie c’è un abisso. Che abbiano dato il nome di Australopithecus (da australe + píthēkos (greco) scimmia), Homo erectus, Homo habilis ad alcuni fossili estinti, usando una terminologia che mette assieme volutamente scimmia e uomo, tentando di far credere che essi appartengano in maniera indiscussa alla stessa catena evolutiva è un compassionevole tentativo destinato a un ben misero fallimento. Già alcuni degli scienziati più onesti riconoscono che questi fossili, benché abbiano il nome di Homo, sono delle scimmie estinte (tra l’altro camminavano ricurve come le attuali scimmie) (4).
Gli altri fossili come l’Uomo di Cro-Magnon, l’Uomo di Oberkassel, l’Uomo di Neandertal erano uomini perfetti: avevano solo il torto di avere una
corporatura più robusta e massiccia o il naso prominente o aquilino. È ben
vero: ma ancor oggi ci sono tipi umani o razze (se è ancora lecito usare questo termine) che hanno fisico più robusto e massiccio di quello di altri.
E poi c’è questa spasmodica ricerca dell’anello mancante.
E invero spesso le agenzie di stampa diffondono comunicati con i quali
annunciano il ritrovamento dell’anello mancate tra la scimmia e l’uomo, che
sarebbe il tocco finale per chiudere la questione evoluzione. Il fatto che queste notizie siano frequenti già dimostra che l’anello manca e che quindi c’è una differenza incolmabile tra scimmia e uomo. Del resto se l’avessero trovato una volta per tutte non ci sarebbe bisogno di reiterare continuamente la notizia.
Ma analizziamo una delle ultime:
Nell’aprile del 2010 «è stata lanciata la notizia del ritrovamento in
Sudafrica dello scheletro parziale di un bambino risalente a due milioni di
anni fa nella grotta Malapa, non molto distante da Johannesburg e da
Sterkfontein, un sito ben noto nella paleoantropologia per altri reperti di
ominidi segnalati nel 1947 e anche in seguito. Nella grotta sono stati trovati alcuni scheletri e per quello di un bambino di undici-dodici anni sono state fornite le prime osservazioni. Viene riferito a una nuova specie
australopitecina, denominata ‘Australopithecus Sediba’ (da un termine che
in lingua locale significa ‘buon inizio’) e rientra nella fase evolutiva che ha preceduto la comparsa dell’uomo. Il nuovo reperto, come riferisce la rivista Science’, presenta caratteristiche australopitecine nella morfologia e nella capacità cranica (420 cc), nella taglia corporea (un metro e trenta), nella lunghezza delle braccia. … Sembra più probabile che si tratti di un australopiteco africano sopravvissuto, sempre che l’attenuazione di qualche carattere australopitecino non sia da mettere in relazione con l’età giovanile» (5).
Viene da considerare che voler inserire questo reperto fossile nella catena
evolutiva dell’uomo sembra una grossa forzatura. Basta solo osservare che
una capacità cranica di 420 cc è inferiore a quella degli attuali scimpanzé ed è molto lontana da quella dell’uomo (1.250-1.500 cc). I fossili che vengono considerati gli antenati degli uomini, lo ripetiamo, appartengono di fatto o a diverse razze umane o a specie di scimmie (6).
Senza voler ricorrere al dettato di Gesù a Maria Valtorta del 30 dicembre 1946 (7) il semplice uso della retta ragione fa riconoscere che l’uomo si differenzia dal resto degli esseri viventi per l’intelligenza, di cui il linguaggio verbale è una caratteristica. Qualcuno potrebbe obbiettare che anche altri animali sono intelligenti: è facile rispondere che quella degli animali cosiddetti intelligenti, come il cane o il delfino, non è intelligenza ma solo memoria e istinto, così com’è solo istinto anche il linguaggio sociale ad esempio delle formiche o delle api.
Il professor Rocco Pititto, dell’Università di Napoli Federico II, sintetizza in questo modo: il linguaggio verbale è una dote originaria e caratteristica dell’essere dell’uomo, «un bene e un’eredità comune» a tutti gli uomini. Il linguaggio è una capacità esclusiva dell’Homo sapiens sapiens, quell’essere giunto, infine, al culmine della sua evoluzione biologica e culturale, seguendo dei percorsi, che lo hanno portato a differenziarsi dagli altri animali e a specializzarsi all’interno della sua specie. La capacità dell’uomo di parlare e significare, da un lato, si situa nelle strutture biologiche dell’uomo (eredità biologica), dall’altro richiede un particolare apprendimento, determinato dalla natura relazionale dell’essere dell’uomo (apprendimento sociale). E’ una
buona sintesi anche se c’è l’immancabile richiamo all’evoluzionismo. Afferma però un concetto irrefutabile: il linguaggio verbale è una capacità esclusiva dell’uomo. Per parlare condizione necessaria ma non sufficiente è il possesso di adeguate strutture biologiche, che solo l’uomo ha (la faringe, la laringe, la lingua e la bocca, nonché le aree cerebrali predisposte).
Ma non basta avere perfetto apparato fonatorio: il bambino per imparare a
parlare ha bisogno anche di un particolare apprendimento, che nella maggior
parte dei casi avviene naturalmente, ascoltando i genitori o chi per loro.
Purtroppo si può essere muti per due ordini di motivi: o perché privi anche di uno solo degli organi preposti alla produzione del suono o perché
semplicemente sordi dalla nascita. I sordomuti sono persone in possesso
spesso di un apparato fonatorio perfetto, ma nonostante ciò non sono in
grado di parlare, perché è mancato loro l’apprendimento sociale. Infatti i nati sordi o divenuti tali per malattia nel primo anno di vita, pur avendo tutti i mezzi fisici per parlare, non potendo ascoltare parole umane, restano muti se non vengono rieducati per tempo. Osserviamo ancora che bambini allevati da animali imparano il linguaggio dell’animale che li ha allevati: famosi sono i casi di bambini lupo o scimmia, che ritornati solo in età adulta nel consesso civile non hanno più imparato a parlare (la leggenda di Tarzan è vera al contrario).
Di esperienza comune è il caso dei bambini che apprendono naturalmente e
senza fatica la lingua madre. Per imparare a parlare occorre ascoltare
qualcuno che parli la lingua: se ascolti l’italiano impari l’italiano, se ascolti il giapponese impari il giapponese: è una verità a cui non si sfugge (8). Se non puoi ascoltare perché non c’è nessuno che t’insegni o sei sordo, non impari a parlare: i sordomuti sono muti a causa della loro sordità (non perché manchino di laringe o faringe).
Pertanto il primo uomo non poteva imparare a parlare da solo: aveva bisogno
necessariamente di ascoltare la voce di un Altro (confronta ad esempio Genesi 3:8 «Poi udirono la voce di Dio il Signore…»). E questa è una prova logica contro l’evoluzionismo.
Si capisce perciò il senso della nota del 1866 della Société de Linguistique de Paris, che aveva vietato qualsiasi comunicazione
relativa al tema dell’origine del linguaggio. Infatti le resistenze e i sospetti di molti studiosi contemporanei nei confronti del tema continuano, così come la diffidenza degli studiosi di stampo umanista nei confronti dell’evoluzionismo darwiniano.
La nostra lo ammettiamo non è una prova scientifica: è solo una
dimostrazione logica. Dal punto di vista della scienza sperimentale, entrambe le ipotesi sulle origini, sia l’evoluzionista che la creazionista, sono inverificabili. Su questi temi ultimi non è la scienza, ma la filosofia, a doversi pronunciare.
Noi per il momento ci potremmo accontentare che l’evoluzionismo venisse
presentato come è nella realtà: un’ipotesi scientifica in attesa che vengano trovate le eventuali prove verificate. E che soprattutto nelle scuole e anche negli oratorii gli argomenti a favore della creazione dell’uomo venissero presentati in maniera imparziale.
Alfonso Marzocco

1) Andersson U. e altri, Long Noncoding RNAs with Enhancer-like Function
in Human Cells, Cell 2010, 143:46-48. «Signori, è giunta l’ora di cancellare dal vocabolario l’espressione ‘DNA spazzatura’: questo termine, utilizzato per definire quel 98% del genoma che non codifica per proteine, può ormai ritenersi obsoleto. E’ stato coniato in un periodo in cui si credeva ancora che tutto il lavoro, nelle cellule, lo facessero le proteine, e che il DNA non tradotto poteva essere tranquillamente liquidato come un retaggio evolutivo senza alcuna funzione. Negli ultimi anni, tuttavia, la scienza è tornata sui propri passi, avendo scoperto che quella parte del genoma tanto bistrattata possiede in realtà delle importanti funzioni di regolazione: dopotutto, i trascritti che vengono convertiti in proteine sono solo una piccola parte rispetto alle montagne di RNA prodotti dalle cellule. ‘RNA interference’ e microRNA’, scoperti negli anni ‘90, sono gli esponenti più illustri di questo
esercito di nuovi attori saliti alla ribalta, ma non sono i soli».
2) La faringe è una struttura tipica dell’uomo, manca anche nei primati più
vicini a noi. E’ un piccolo spazio che si trova nella cavità oro-boccale, tra l’epiglottide ed il palato molle. Nella specie umana, i suoni sono formati nella laringe dalla vibrazione delle corde vocali. Queste vibrazioni passano attraverso la laringe ed arrivano alla bocca, dove sono nuovamente modificate.
3) La conquista della stazione e della deambulazione eretta, da un punto di
vista evolutivo, dicono gli esperti, è di difficile acquisizione ed è molto più improbabile dello stesso sviluppo del cervello.
4) Confronta Lord Solly Zuckerman e i professori Charles Oxnard, Holly
Smith, Fred Spoor, Bernard Wood e Frans Zonneveld.
5) Fiorenzo Facchini, Un altro homo ma è un uomo? La leggenda dell’anello
mancante: un anello che lega chi a chi?
6) Harun Yahya, L’inganno dell’evoluzione,
www.lingannodellevoluzione.com/index.php
7) Maria Valtorta, I Quaderni dal 1945 al 50, Isola Liri, CEV, «Scrive infatti la mistica il 30 dicembre 1946: Sento la notizia che hanno ritrovato in una caverna scheletri di uomo-scimmia. Resto pensierosa dicendo: Come possono asserire ciò? Saranno stati brutti uomini. Volti scimmieschi e corpi scimmieschi ce ne sono anche ora. Forse i primitivi erano diversi da noi nello scheletro. Mi viene un altro pensiero: Ma diversi in bellezza. Non posso pensare che i primi uomini fossero più brutti di noi essendo più vicini all’esemplare perfetto che Dio aveva creato e che certo era bellissimo oltre che fortissimo. Penso a come la bellezza dell’opera creativa più perfetta si sia potuta avvilire tanto da permettere agli scienzati di negare che l’uomo sia stato creato uomo da Dio e non sia l’evoluzione umana della scimmia. Gesù mi parla e dice: ‘Cerca la chiave nel capo 6° della Genesi. Leggilo’. Lo leggo.
Gesù mi chiede: ‘Capisci?’. No, Signore. Capisco che gli uomini divennero
subito corrotti e nulla più. Non so che attinenza abbia il capitolo con l’uomoscimmia.
Gesù sorride e risponde: ‘Non sei sola a non capire. Non capiscono
i sapienti e non gli scienziati, non i credenti e non gli atei. Stai attenta. E comincia a recitare: E avendo cominciato gli uomini a moltiplicarsi sulla terra e avendo avuto delle figlie i figli di Dio, o figli di Set, videro che le figlie degli uomini (figlie di Caino) erano belle e sposarono quelle che fra tutte a loro piacquero... Ora dunque, dopo che i figli di Dio si congiunsero con le figlie degli uomini e queste partorirono, ne vennero fuori quegli uomini potenti, famosi nei secoli’. ‘Sono gli uomini che per potenza del loro scheletro colpiscono i vostri scienziati, che ne deducono che al principio dei tempi l’uomo era molto più alto e forte di quanto è attualmente, e dalla struttura del loro cranio deducono che l’uomo derivi dalla scimmia. I soliti errori degli uomini davanti ai misteri del creato’ ».
8) Significativa al riguardo ad esempio è l’esperienza di Santa Giuseppina
Bakhita, che nata in Sudan e vissuta, dopo aver conosciuto la schiavitù in
Africa, tra le suore Canossiane di Schio (Vicenza) parlava non l’italiano ma solo il dialetto veneto.





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