L'articolo che riporto in questa pagina è stato scritto da Maria Giovanna Damiano ed è tratto dalla rivista INCONTRI n.68/2001 edita dalla Banca Popolare dell'Emilia Romagna:
"" In una notte come tante, le apparve in sogno una radura con otto croci abbattute e le comparvero, poi, dinanzi agli occhi, otto soldati tedeschi, che la scongiurarono in lingua italiana che le loro spoglie fossero restituite alle loro madri in Germania.
Il sogno rivelatore maturò in Mamma Lucia il progetto di raccogliere i resti dei caduti sparsi sui monti di Cava, ed abbandonati allo scempio delle intemperie e degli animali randagi, per poi ricomponi e conservarli nella speranza di poterli restituire alle rispettive famiglie. Chiese quindi al Comune la necessaria autorizzazione per la raccolta delle salme che, il 16 luglio 1946, le fu accordata dal sindaco il quale, colpito dalla determinazione da lei mostrata e dalla grandezza del suo progetto, le offrì anche l’assistenza di due becchini. Le toccò poi superare l’ostacolo dell’individuazione delle tante salme sparpagliate su un territorio vasto, e spesso impervio.
L’attuazione del progetto si presentava veramente ardua, ma Mamma Lucia non si arrese e prese a girare per i luoghi interessati dai combattimenti chiedendo notizie a tutti coloro che potessero fornirgliene. Il suo lavoro iniziò dalla collina di Monte Castello, sui cui pendii trovò tredici corpi ammucchiati in una grotta.
Nelle successive escursioni, sempre faticose ed irte di pericoli, rinvenne venticinque corpi in località Arcara, e poi diciotto in Santa Maria a Toro, ed altri cinquanta in un campo di patate nella vicina Montoro Inferiore, e poi ancora tanti sui Monte san Liberatore, a Santa Croce, alla Badia di Cava, a Monte Pertuso, Pineta La Serra, ai Monti del Demanio, tutte zone limitrofe a Cava de’ Tirreni che, complessivamente, in anni di duro lavoro, restituirono alle sue mani amorose circa settecento corpi. Negli ultimi tempi di questa sua caritatevole attività si spinse fino ai luoghi che più da vicino erano stati investiti dallo sbarco alleato di Salerno, recuperando salme persino in Montecorvino Rovella.
La forza interiore che l’ ha sostenuta in tutta questa sua opera appare ancora più grandiosa considerando che presto i becchini l’abbandonarono a causa delle eccessive fatiche, dei tanti pericoli (spesso i caduti venivano interrati con ancora indosso tutta la loro dotazione di bombe e munizioni) e, probabilmente, per le motivazioni, per loro incomprensibili, che spingevano Mamma Lucia a proseguire la sua missione di "mamma". Si affidò allora alla sola forza delle sue braccia ed a qualche occasionale volenteroso, che ricompensava di tasca sua. Ella raccoglieva i corpi in cimiteri improvvisati nei campi, poi li riesumava, ne puliva le ossa e le raccoglieva in cassettine di zinco, che faceva fabbricare a sue spese. Affidava i documenti e gli oggetti personali che le capitava di rinvenire al locale commissariato e pregava, pregava, pregava instancabile e fiduciosa nell’aiuto di Dio. La paura la scuoteva spesso, soprattutto quando, scavando a mani nude, si imbatteva in proiettili inesplosi e mine, ma ella si ripeteva: "ll Signore vede e provvede" e ascoltava una voce interna che la rinfrancava o la fermava quando era realmente in pericolo.
Ma chi le stava vicino, chi la guidava e l’assisteva? Forse un Angelo custode, forse le anime stesse di quei soldati, le cui spoglie Ella rinveniva e curava amorosamente. Mamma Lucia non stette, comunque, mai a porsi tutti questi interrogativi; sapeva soltanto che doveva ascoltare gli impulsi del suo cuore generoso, senza mai fermarsi. Nella piccola chiesa di San Giacomo Minore, nell’antico Borgo di Cava, sistemava le cassettine di zinco con ordine meticoloso e le accudiva, quasi come fossero reliquie sacre. In realtà Ella offriva a quelle ossa tutto l’amore che una madre può donare ad un figlio, e le sue mani affettuose erano le mani di tutte le mamme del mondo.
Agli inizi degli anni ‘50 Mamma Lucia compì anche un viaggio di speranza e di solidarietà materna, recandosi in Germania dove era stata invitata dalle autorità. Riportò a molte donne sfortunate i resti che era stato possibile identificare, gli oggetti ritrovati accanto al cadaveri, restando sgomenta dinanzi all’alta onorificenza della Croce al Merito Germanico, che le fu riservata. In fin dei conti, si chiedeva, cosa aveva fatto lei, umile popolana, per meritare tanti apprezzamenti? Aveva soltanto agito come una madre e si era avvalsa del coraggio che la fede le aveva inculcato.
Mamma Lucia nel negozio al C.so Umberto
Il 2 giugno 1959 il Presidente della Repubblica, Gronchi, conferì a Mamma Lucia l’onorificenza della Commenda al Merito della Repubblica. La città di Salerno, poi, la proclamò cittadina onoraria ed il Comune di Cava de’ Tirreni le offri una pergamena, con la quale la cittadinanza cavese le attestava la sua immensa ammirazione.
Mamma Lucia diede una decorosa sepoltura a quelli che avrebbe potuto considerare Ella stessa suoi nemici, caduti combattendo anche contro l’Italia, anzi forse uccisori essi stessi di giovani vite italiane. Ma Ella non faceva distinzione di nazionalità fra le ossa che raccoglieva; tutte andavano pulite e sistemate allo stesso modo tutte erano quanto restava di poveri figli di mamma, giovani vittime di uni guerra atroce ed insensata come, alla fin fine, sono tutte le guerre. Per lei erano tutti "belli ‘e mamma", tutti figli di mamma, tutti uguali nelle sue amorose mani. La fatica accumulata in quegli anni di dure ricerche e l’usura con cui il tempo, con il suo trascorrere, marchia inesorabilmente tutti gli uomini la costrinsero ad abbandonare la sua attività anche perché, ormai, non era più possibile individuare altre spoglie da recuperare. Si dedicò, quindi, ad accudire i resti mortali dei numerosi ignoti che restarono nella chiesetta di San Giacomo.
ll 23 novembre del 1980 la furia del terremoto che scosse per circa novanta, interminabili secondi la Campania e le altre regioni del sud, seminando rovina e lutto, la strappò questa sua ultima missione; la Cappella di San Giacomo fu, infatti gravemente lesionata e dichiarata inagibile. Trascorse allora gli ultimi anni in preghiera, mostrandosi raramente in giro, ma apparendo qualche volta in televisioni private a render testimonianza della meravigliosa missione svolta. Il Signore decise poi di chiamarla a sé, perchè potesse finalmente godere il meritato riposo dalle sue fatiche, e conoscere tutti quei figli per quali si era tanto amorevolmente prodigata. I Cavesi furono sinceramente scossi dalla notizia, accolta quasi con incredulità perché a tutti sembrò irrealistico dover attraversare le strade della città senza sentirsi chiamare, salutandola, "bello ‘e mamma". Il Consiglio Comunale deliberò funerali solenni, facendo allestire la camera ardente nella sala di ricevimento del palazzo di città, dove per due giorni un’incessante processione di uomini e donne di tutte le età porse l’estremo saluto a Mamma Lucia, esposta in uni bara di vetro al piedi del gonfalone della città e dei labari di tutte le associazioni civili e religiose.""
Alla notizia della morte di Mamma Lucia un altro Presidente, Sandro Pertini, così scrisse al sindaco di Cava: "La scomparsa d Mamma Lucia colpisce dolorosamente quanti riconoscono nell’amore e nella solidarietà valori fondamentali per l’edificazione dell’uomo".
giovedì 6 novembre 2008
Proposta di legge Congia.
All'attenzione del Presidente on. Silvio Berlusconi
La Commissione Giustizia della Camera ha posto in discussione una proposta di legge, prima firmataria la deputata del Pd AnnaConcia, per punire con la reclusione da sei mesi a quattro anni, l'autore di un discorso, uno scritto o un atteggiamento a cui venga attribuito un valore "discriminatorio" verso la pratica omosessuale e altri, non meglio precisati, "orientamenti sessuali". Il Presidente della Commissione, l'on. avv. Giulia Bongiorno, hainoltre affidato l'incarico di relatore della proposta di legge allastessa on. Concia. 'Il gesto della collega Bongiorno - ha rilevato la parlamentare del Partito democratico - esprime una fiducia politica che mettero' al lavoro''. (Asca, 24.9.08)
NESSUN COMPONENTE DELLA COMMISSIONE GIUSTIZIA ha sollevato critiche alla via preferenziale data a questo pdl, né all'attribuzione di relatore ad un membro dell'opposizione e nemmeno al suo confuso contenuto, con la sola eccezione dei deputati Nicola Molteni e Luca Rodolfo Paolini (Lega Nord).
IL POPOLO ITALIANO PLAUDE TUTTO ALLA PROPOSTA DI LEGGE: la pena proposta mi sembra però troppo lieve. Propongo la pena di morte mediante impiccagione in pubblica piazza o almeno la fucilazione alle spalle. Se proprio non fosse possibile per simili reati efferati la pena di morte, perchè l'Italia è promotrice della moratoria, come minimo dovrebbe essere irrogato l'ERGASTOLO da espiare SENZA SCONTI ai lavori forzati in miniere di carbone a 800 m sotto il suolo.
P.S. Mi permetto di farle osservare, presidente Berlusconi, che se approvata, questa legge di un solo articolo aprirebbe di fatto le porte del carcere per chiunque, laico o religioso, osasse ricordare pubblicamente i principi solenni della morale cattolica o le immutabili condanne della Sacra Scrittura, dell'Apostolo Paolo o di S. Tommaso. Questa proposta di legge avrebbe come principale conseguenza quella di censurare la libertà di espressione, e quindi di critica, dei cattolici. Gli atti di violenza o l'incitamento alla stessa, verso chiunque, sono infatti già opportunamente sanzionati dal nostro Codice.
La Commissione Giustizia della Camera ha posto in discussione una proposta di legge, prima firmataria la deputata del Pd AnnaConcia, per punire con la reclusione da sei mesi a quattro anni, l'autore di un discorso, uno scritto o un atteggiamento a cui venga attribuito un valore "discriminatorio" verso la pratica omosessuale e altri, non meglio precisati, "orientamenti sessuali". Il Presidente della Commissione, l'on. avv. Giulia Bongiorno, hainoltre affidato l'incarico di relatore della proposta di legge allastessa on. Concia. 'Il gesto della collega Bongiorno - ha rilevato la parlamentare del Partito democratico - esprime una fiducia politica che mettero' al lavoro''. (Asca, 24.9.08)
NESSUN COMPONENTE DELLA COMMISSIONE GIUSTIZIA ha sollevato critiche alla via preferenziale data a questo pdl, né all'attribuzione di relatore ad un membro dell'opposizione e nemmeno al suo confuso contenuto, con la sola eccezione dei deputati Nicola Molteni e Luca Rodolfo Paolini (Lega Nord).
IL POPOLO ITALIANO PLAUDE TUTTO ALLA PROPOSTA DI LEGGE: la pena proposta mi sembra però troppo lieve. Propongo la pena di morte mediante impiccagione in pubblica piazza o almeno la fucilazione alle spalle. Se proprio non fosse possibile per simili reati efferati la pena di morte, perchè l'Italia è promotrice della moratoria, come minimo dovrebbe essere irrogato l'ERGASTOLO da espiare SENZA SCONTI ai lavori forzati in miniere di carbone a 800 m sotto il suolo.
P.S. Mi permetto di farle osservare, presidente Berlusconi, che se approvata, questa legge di un solo articolo aprirebbe di fatto le porte del carcere per chiunque, laico o religioso, osasse ricordare pubblicamente i principi solenni della morale cattolica o le immutabili condanne della Sacra Scrittura, dell'Apostolo Paolo o di S. Tommaso. Questa proposta di legge avrebbe come principale conseguenza quella di censurare la libertà di espressione, e quindi di critica, dei cattolici. Gli atti di violenza o l'incitamento alla stessa, verso chiunque, sono infatti già opportunamente sanzionati dal nostro Codice.
martedì 4 novembre 2008
Galileo aveva torto.
Galileo aveva torto
Alfonso Marzocco 20 maggio 2008
Durante il pontificato di Urbano VIII (1623-1644) la tendenza alla mitezza del Tribunale dell’Inquisizione romana si accentua.
La sua giurisdizione si esercita verso tutta la Cristianità, ma in pratica ha bisogno che gli Stati rendano esecutive le sue sentenze.
Cardinali e notabili della Chiesa conoscevano bene le varie teorie astronomiche: era di pochi decenni prima la storica riforma gregoriana del calendario (1) valida ancora oggi a distanza di secoli.
Conoscevano anche le teorie di Galileo Galilei, che le aveva espresse tra l’altro anche nei giardini Vaticani e al futuro Papa Urbano VIII, con il quale si era incontrato almeno sei volte (2).
Era amico dei potenti Medici, granduchi di Toscana, a cui aveva dedicato alcune scoperte astronomiche. Commentatori della teoria copernicana avevano avuto anche riconoscimenti e apprezzamenti dal Papa. Eppure il processo a Galileo si svolge proprio in questo periodo: come mai?
Abbiamo la fortuna di avere buona parte dei documenti del processo contro Galileo, anche se qualcosa è andato perso nel trasferimento a Parigi degli archivi della Chiesa all’epoca di Napoleone.
Occorre leggerli e, per fare un collegamento con la realtà attuale, si avrà l’impressione di avere a che fare con un processo per diffamazione.
E’ un principio giuridico valido anche oggi che chi si ritiene diffamato può denunciare il presunto diffamatore e chiederne la condanna, dando o meno ampia facoltà di prova a seconda che
preferisca vedersi tutelato l’onore formale o sostanziale.
Non solo, ma una recente sentenza della Corte di Conti ha ricondotto fra i valori immateriali di
ogni amministrazione la tutela della propria immagine, ossia la «tutela della propria identità, del
buon nome, della reputazione e credibilità» degli apparati pubblici (Sentenza del 23 aprile 2003,
numero 10/2003/QM).
Nel caso di Galileo, mi si passi l’ immagine, ci troviamo di fronte a un caso di diffamazione a
mezzo stampa o almeno di lesione della propria immagine, nel quale la Chiesa, non
trincerandosi dietro la propria autorità, diede ampia facoltà di prova e pertanto diede la
possibilità e l’occasione a Galileo Galilei di dimostrare ufficialmente la teoria eliocentrica.
In sintesi il Santo Uffizio dichiarava: Tu, Galileo, affermi che la mia interpretazione della Bibbia è
sbagliata: mostrami le prove della tua affermazione (3).
Senza dilungarci nel ripetere la storia degli antefatti e del processo, che le persone informate e
in buona fede conoscono bene, occorre riportarne almeno i sommi capi.
Nel febbraio 1616 il Santo Uffizio aveva espresso una condanna per le teorie eliocentriche
copernicane, considerate stolte ed assurde, proibendo di difenderle come realtà fisica, ma
consentendo di parlarne come ipotesi geometriche.
Galileo, che era stato denunciato al riguardo nel 1615, se la cavò con un ammonimento che gli
fu notificato nel 1616 dal santo e dotto cardinale Bellarmino (1542-1621).
Nel 1632, dimentico dell’ammonimento, prova a far stampare a Roma il «Dialogo sui massimi
sistemi del mondo».
Non ci riesce, e lo fa stampare a Firenze senza le autorizzazioni di rito.
Ma il peggio viene dopo.
Nel libro, mettendo in scena la discussione sul sistema copernicano, Galileo presenta tre
personaggi: il Salviati (portavoce dell’autore, che spiega la teoria di Copernico), il Sagredo, exallievo
di Galileo, e un professore aristotelico che è una persona alquanto stupida e si chiama
Simplicio.
Guarda un po’, proprio a Simplicio Galileo affida il compito di illustrare le argomentazioni di
Urbano VIII. Come se non bastasse, fa dire a Sagredo, in tono di scherno, rivolto a Simplicio:
«Oh che bella dottrina è la vostra! Davanti ad essa dobbiamo tacere; ma io l’ho già sentita da
una somma autorità…».
Qui bisogna dire che è l’arroganza di Galileo a provocare l’irreparabile (4).
Viene convocato a Roma per giustificare le sue affermazioni ed eventualmente portare le prove
sperimentali o scientifiche di quanto da lui affermato (il Sole è fermo ed è al centro dell’Universo;
la Terra si muove anche di moto diurno e pertanto non è al centro del Mondo) contro
l’interpretazione tradizionale della Bibbia, che riteneva la Terra al centro o molto prossima al
centro dell’Universo.
Bisogna riconoscere che Galilei non mise mai in dubbio il diritto della Chiesa ad intervenire, (5)
ma si comportò in maniera alquanto disinvolta (6): si dà prima per ammalato e si fa
raccomandare finanche da Michelangelo Buonarroti, omonimo nipote del grande scultore e architetto.
Messo alle strette, si decide finalmente a partire per Roma.
Depone prima che non ricordava bene l’ammonimento già ricevuto, poi che aveva inteso
illustrare semplicemente le due teorie senza prendere parte per una di esse, così come a suo
tempo consentito dal cardianale Bellarmino.
Poi si rende conto che l’ha detta grossa e chiede di fare una nuova deposizione il 30 aprile
1633, nella quale ammette che spiegava la posizione copernicana come vera, ma l’aveva fatto
(glossando la Santa Scrittura conforme al suo senso) (7) solo per per mostrare tutta la
sottigliezza della sua capacità argomentativa: «… Il lettore, non consapevole dell’intrinseco mio,
harebbe havuto cagione di formarsi concetto che gli argomenti portati per la parte falsa e ch’io
intendevo confutare, fussero in tal guisa pronunciati, che più tosto per la loro efficacia fussero
potenti a stringere, che facili ad esser sciolti… avidior sim gloria quam satis sit» [non per malizia
ma per vana ambizione].
Alla fine si rende conto che i cardinali giudicanti avrebbero dovuto essere completamente stupidi
per accettare una simile giustificazione e si rimette alla loro «clemenza e benignità»,
giustificandosi con i malanni e con l’età (8).
Insomma non dà una bella prova di sé: porta le giustificazioni standard di un impiegato statale
(tra l’altro lo era veramente: infatti era docente universitario), presentando certificati medici,
lettere di raccomandazione e di scuse varie: prove, niente.
Come prova fisica del movimento della Terra portò:
1) «le maree, il flusso e il riflusso del mare». Ma noi sappiamo, come già gli fecero notare i
consultori romani, che le maree dipendono direttamente dall’attrazione della Luna e non (o solo
in parte) dal movimento di rotazione della Terra e dalla sua sovrapposizione con il movimento di
rivoluzione attorno al Sole. Keplero aveva già prospettato questa verità, ma Galileo non aveva
mai voluto accettarla;
2) come ulteriore prova portava la sua scoperta delle macchie solari (9), che non si capisce
bene cosa c’entrassero;
3) prova definitiva poi doveva essere la massima: «prova la terra moversi per quel principio fisico che la natura non opera per molti mezzi ciò che può conseguir per pochi, et frustra fit per
plura quod fieri potest per pauciora» (10).
Il cardinale Bellarmino lo aveva ribadito molto bene: « (...) 2° Dico che, come lei sa, il Concilio
prohibisce esporre le Scritture contra il commune consenso de’ Santi Padri. 3° Dico che quando
ci fusse vera demostratione che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo, e che il Sole non circonda la terra, ma la terra circonda il sole allhora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e piú tosto dire che non
l’intendiamo che dire che sia falso quello che si dimostra. Ma io non crederò che ci sia tal
dimostratione, fin che non mi sia mostrata…» (11).
Il Sant’Uffizio nel processo a Galilei non pretendeva che lo scienziato pisano rinunciasse alla
convinzione eliocentrica, bensì che ne parlasse per quello che effettivamente era, cioè
un’ipotesi.
La Chiesa, così come il Sant’Uffizio, chiedevano solo la «dimostratione».
Non mi sembra che fosse una richiesta eccessiva.
Galilei non la diede e pertanto anche oggi sarebbe condannato per diffamazione o, come dice la Corte dei Conti, per danno all’immagine dell’amministrazione.
Ma qualcuno obietterà: Galilei non diede la dimostrazione, perché all’epoca non c’erano le conoscenze e gli strumenti adeguati, ma adesso… sarebbe un’altra storia.
Perfino Antonino Zichichi nel suo «Galilei: divin uomo» (12) riconosce che «insomma, Galilei
era convinto che la Terra non avesse alcun motivo per restare ferma al centro del mondo con
innumerevoli corpi celesti alla sua mercé. Pur tuttavia mancava la prova decisiva. Non era
impresa da poco. C’è voluto un quarto di millennio per ottenerla…» (pagina 113).
Le prove che secondo Zichichi dimostrerebbero che Galilei aveva ragione sarebbero:
- la parallasse (prova principe);
- le stagioni;
- i quattro minuti (la differenza tra giorno sidereo e giorno solare);
- i tempi diversi dell’ «orologio celeste» di Galilei (la cui esistenza è legata ai movimenti orbitali
dei satelliti di Giove) (13).
Ora che un grande scienziato come Zichichi pretenda che l’eliocentrismo resti dimostrato con
questi mezzi (la parallasse non prova niente, presupponendolo già, essendo un rapporto tra la distanza delle stelle e la base presa; le altre «prove» poi si spiegano ugualmente
se è il Sole a girare attorno alla Terra) (14) è la dimostrazione provata che Galilei e il
geocentrismo ora come allora non hanno argomenti.
Sembra più sincera e coerente l’illuminante affermazione ritrovata nel sito web dell’Osservatorio
astronomico di Brera nella pagina, che ripercorre la storia della parallasse: «Dimostrare il moto
della Terra non era più necessario, dal momento che esso era divenuto una parte ormai
accettata della teoria» (15).
Cioè: siccome siamo tutti d’accordo, facciamo a meno di prove (perché non riusciamo a
trovarle, neanche false).
Ebbene Fernand Crombette (16) argomenta che nessuno ha portato queste prove, anzi gli
scientisti (17) non ne parlano proprio più, perché... la realtà è un’altra.
Alfonso Marzocco
1) «La riforma gregoriana del calendario: un ardito provvedimento scientifico del XVI secolo,
tuttora valido e in vigore in tutto il mondo civile», a cura di Girolamo Fantoni, in URL:
http://quadrantisolari.uai.it/articoli/art4.htm
2) Girolamo, Tiraboschi, «Storia della letteratura italiana» del cavaliere abate Girolamo
Tiraboschi, Firenze : presso Molini, Landi, e C.o, 1812. tomo 8.2.
3) Sentenza di condanna dei Galileo Galilei del 22 giugno 1633 in http://it.wikisource.org/wiki/
Sentenza_di_ condanna_ di_Galileo_Galilei: «Essendo che tu, Galileo fig.lo del q.m. Vinc.o
Galilei, Fiorentino, dell’età tua d’anni 70, fosti denunziato del 1615 in questo S.o Off.o, che
tenevi come vera la falsa dottrina, da alcuni insegnata, ch’il Sole sia centro del mondo e imobile,
e che la Terra si muova anco di moto diurno; ch’avevi discepoli, a’ quali insegnavi la medesima
dottrina; che circa l’istessa tenevi corrispondenza con alcuni mattematici di Germania; che tu
avevi dato alle stampe alcune lettere intitolate Delle macchie solari, nelle quali spiegavi l’istessa
dottrina come vera; che all’obbiezioni che alle volte ti venivano fatte, tolte dalla Sacra Scrittura,
rispondevi glosando detta Scrittura conforme al tuo senso; e successivamente fu presentata
copia d’una scrittura, sotto forma di lettera, quale si diceva esser stata scritta da te ad un tale
già tuo discepolo, e in essa, seguendo la posizione del Copernico, si contengono varie
proposizioni contro il vero senso e autorità della sacra Scrittura».
4) Parla William Shea, ospite del Meeting di Rimini, «Intervista di Luigi Dell’Aglio». su Avvenire
del 19 agosto 2003. William Shea, è stato chiamato a ricoprire dal 20 giugno la cattedra
galileiana di Storia della scienza, all’Università di Padova. Qui Galileo aveva insegnato per
diciotto anni, dal 1592 al 1610.
5) Antonino Zichichi, «Galilei, divin uomo», Milano, 2001, pagina 83.
6) D’altra parte bisogna pure incominciare a dire, contro l’agiografia ufficiale, che il
comportamento di Galileo fu spesso disinvolto: basti ricordare come si comportò con la sua
famiglia. Abbandonò la convivente a Padova quando ebbe un incarico più prestigioso in
Toscana. Togliendole pure i figli: un maschio e le due figlie femmine, che però costrinse a
monacarsi perché difficilmente avrebbero potuto fare un buon matrimonio, essendo di nascita
illegittime. «Virginia, che prese il nome di suor Maria Celeste, riuscì a portare cristianamente la
sua croce, visse con profonda pietà e in attiva carità verso il padre e le sue consorelle. Livia,
divenuta suor Arcangela, soccombette invece al peso della violenza subìta e visse nevrastenica
e malaticcia» (Sofia Vanni Rovighi).
7) Sentenza di condanna del Galileo Galilei del 22 giugno 1633 (vedi nota 3).
8) Allegato di Galileo in propria difesa del 10 maggio 1633. Documento 42 in «I documenti del
processo di Galileo Galilei», a cura di S.M.Pagano, Città del Vaticano, 1984.
9) «Le macchie solari costringono l’intelletto humano di ammettere il moto annuo della terra».
Pagina 337 del «Dialogo di Galileo Galilei Linceo matematico sopraordinario dello Studio di
Pisa. ... Doue ne i congressi di quattro giornate si discorre sopra i due massimi sistemi del
mondo tolemaico, e copernicano; proponendo indeterminatamente le ragioni filosofiche, e
naturali tanto per l’vna, quanto per l’altra parte»…
In Fiorenza: per Gio. Batista Landini, 1632.
10) «Dialogo…», pagina 110.
11) Lettera del cardinale Bellarmino a Paolo Antonio Foscarini, 12 aprile 1615.
12) Milano, 2001.
13) A. Zichichi, «Galilei, divin uomo», pagina 112.
14) Per determinare la parallasse stellare si sfrutta il supposto cambiamento di posizione
assunto dalla Terra durante il suo moto orbitale, cioè la parallasse annua. La tecnica sottintende
la conoscenza del diametro dell’orbita terrestre e richiede l’osservazione dello stesso oggetto
celeste a sei mesi di distanza per determinarne lo spostamento apparente rispetto allo sfondo.
La distanza delle stelle è calcolata sulla base delle parallassi misurate e, impiegando la
trigonometria, con l’aiuto del raggio R dell’orbita (supposta, TS) della Terra attorno al Sole. In
questo caso, è trascurabile sapere dove, sul globo terrestre, sia situato l’osservatorio (per
esempio a Chicago o a Roma), giacché lo sbaglio commesso durante la misura è senza grande
importanza. Al contrario, se la Terra non descrive che la piccola orbita del suo stesso raggio,
due constatazioni sono da fare:
- la distanza stella-Terra è ridotta molto fortemente e non costituisce più che la 1/23.425ª parte
della distanza attualmente accettata;
- non è allora più indifferente sapere dove sono piazzati gli osservatori. Le differenze tra le
parallassi misurate, ciascuna separatamente, vengono ad essere significative. Ed è
apparentemente questo il caso: basta consultare le parallassi dei diversi Osservatori
astronomici. Alla fine tutto si riduce a quale misura si prende come base: se si prende come
base del calcolo il raggio terrestre, le stelle potrebbero essere molto più vicine di quanto oggi si suppone e la posizione degli osservatori sulla Terra non è indifferente: in ogni caso le parallassi
stellari da sole non possono provare niente. Quindi non esiste ancora la prova che è la Terra a
girare intorno al Sole.
15) www.brera.inaf.it/utenti/stefano/calvino/majorana/Storia/
16) F. Crombette, «Galileo aveva torto o ragione…?» www.digilander.libero.it/crombette
17) Gli scientisti, a differenza dei veri scienziati, s’innamorano delle loro idee e sostengono
teorie non dimostrate come verità indiscutibili: ad esempio l’evoluzionismo. L’eliocentrismo è
un’altra teoria non dimostrata. E guai a metterle in discussione o a chiederne la prova.
Ricordano l’«eroico» colonnello inglese prigioniero dei giapponesi che nel film costruì il ponte
sul fiume Kway: era tanto preso dal suo ponte da non rendersi conto che lavorava per il nemico.
Alfonso Marzocco 20 maggio 2008
Pubblicato in "L'altra Napoli" supplemento a Nazione Napoletana. Anno XV, n. 1-6 (gen-giu 2008)
Durante il pontificato di Urbano VIII (1623-1644) la tendenza alla mitezza del Tribunale dell’Inquisizione romana si accentua.
La sua giurisdizione si esercita verso tutta la Cristianità, ma in pratica ha bisogno che gli Stati rendano esecutive le sue sentenze.
Cardinali e notabili della Chiesa conoscevano bene le varie teorie astronomiche: era di pochi decenni prima la storica riforma gregoriana del calendario (1) valida ancora oggi a distanza di secoli.
Conoscevano anche le teorie di Galileo Galilei, che le aveva espresse tra l’altro anche nei giardini Vaticani e al futuro Papa Urbano VIII, con il quale si era incontrato almeno sei volte (2).
Era amico dei potenti Medici, granduchi di Toscana, a cui aveva dedicato alcune scoperte astronomiche. Commentatori della teoria copernicana avevano avuto anche riconoscimenti e apprezzamenti dal Papa. Eppure il processo a Galileo si svolge proprio in questo periodo: come mai?
Abbiamo la fortuna di avere buona parte dei documenti del processo contro Galileo, anche se qualcosa è andato perso nel trasferimento a Parigi degli archivi della Chiesa all’epoca di Napoleone.
Occorre leggerli e, per fare un collegamento con la realtà attuale, si avrà l’impressione di avere a che fare con un processo per diffamazione.
E’ un principio giuridico valido anche oggi che chi si ritiene diffamato può denunciare il presunto diffamatore e chiederne la condanna, dando o meno ampia facoltà di prova a seconda che
preferisca vedersi tutelato l’onore formale o sostanziale.
Non solo, ma una recente sentenza della Corte di Conti ha ricondotto fra i valori immateriali di
ogni amministrazione la tutela della propria immagine, ossia la «tutela della propria identità, del
buon nome, della reputazione e credibilità» degli apparati pubblici (Sentenza del 23 aprile 2003,
numero 10/2003/QM).
Nel caso di Galileo, mi si passi l’ immagine, ci troviamo di fronte a un caso di diffamazione a
mezzo stampa o almeno di lesione della propria immagine, nel quale la Chiesa, non
trincerandosi dietro la propria autorità, diede ampia facoltà di prova e pertanto diede la
possibilità e l’occasione a Galileo Galilei di dimostrare ufficialmente la teoria eliocentrica.
In sintesi il Santo Uffizio dichiarava: Tu, Galileo, affermi che la mia interpretazione della Bibbia è
sbagliata: mostrami le prove della tua affermazione (3).
Senza dilungarci nel ripetere la storia degli antefatti e del processo, che le persone informate e
in buona fede conoscono bene, occorre riportarne almeno i sommi capi.
Nel febbraio 1616 il Santo Uffizio aveva espresso una condanna per le teorie eliocentriche
copernicane, considerate stolte ed assurde, proibendo di difenderle come realtà fisica, ma
consentendo di parlarne come ipotesi geometriche.
Galileo, che era stato denunciato al riguardo nel 1615, se la cavò con un ammonimento che gli
fu notificato nel 1616 dal santo e dotto cardinale Bellarmino (1542-1621).
Nel 1632, dimentico dell’ammonimento, prova a far stampare a Roma il «Dialogo sui massimi
sistemi del mondo».
Non ci riesce, e lo fa stampare a Firenze senza le autorizzazioni di rito.
Ma il peggio viene dopo.
Nel libro, mettendo in scena la discussione sul sistema copernicano, Galileo presenta tre
personaggi: il Salviati (portavoce dell’autore, che spiega la teoria di Copernico), il Sagredo, exallievo
di Galileo, e un professore aristotelico che è una persona alquanto stupida e si chiama
Simplicio.
Guarda un po’, proprio a Simplicio Galileo affida il compito di illustrare le argomentazioni di
Urbano VIII. Come se non bastasse, fa dire a Sagredo, in tono di scherno, rivolto a Simplicio:
«Oh che bella dottrina è la vostra! Davanti ad essa dobbiamo tacere; ma io l’ho già sentita da
una somma autorità…».
Qui bisogna dire che è l’arroganza di Galileo a provocare l’irreparabile (4).
Viene convocato a Roma per giustificare le sue affermazioni ed eventualmente portare le prove
sperimentali o scientifiche di quanto da lui affermato (il Sole è fermo ed è al centro dell’Universo;
la Terra si muove anche di moto diurno e pertanto non è al centro del Mondo) contro
l’interpretazione tradizionale della Bibbia, che riteneva la Terra al centro o molto prossima al
centro dell’Universo.
Bisogna riconoscere che Galilei non mise mai in dubbio il diritto della Chiesa ad intervenire, (5)
ma si comportò in maniera alquanto disinvolta (6): si dà prima per ammalato e si fa
raccomandare finanche da Michelangelo Buonarroti, omonimo nipote del grande scultore e architetto.
Messo alle strette, si decide finalmente a partire per Roma.
Depone prima che non ricordava bene l’ammonimento già ricevuto, poi che aveva inteso
illustrare semplicemente le due teorie senza prendere parte per una di esse, così come a suo
tempo consentito dal cardianale Bellarmino.
Poi si rende conto che l’ha detta grossa e chiede di fare una nuova deposizione il 30 aprile
1633, nella quale ammette che spiegava la posizione copernicana come vera, ma l’aveva fatto
(glossando la Santa Scrittura conforme al suo senso) (7) solo per per mostrare tutta la
sottigliezza della sua capacità argomentativa: «… Il lettore, non consapevole dell’intrinseco mio,
harebbe havuto cagione di formarsi concetto che gli argomenti portati per la parte falsa e ch’io
intendevo confutare, fussero in tal guisa pronunciati, che più tosto per la loro efficacia fussero
potenti a stringere, che facili ad esser sciolti… avidior sim gloria quam satis sit» [non per malizia
ma per vana ambizione].
Alla fine si rende conto che i cardinali giudicanti avrebbero dovuto essere completamente stupidi
per accettare una simile giustificazione e si rimette alla loro «clemenza e benignità»,
giustificandosi con i malanni e con l’età (8).
Insomma non dà una bella prova di sé: porta le giustificazioni standard di un impiegato statale
(tra l’altro lo era veramente: infatti era docente universitario), presentando certificati medici,
lettere di raccomandazione e di scuse varie: prove, niente.
Come prova fisica del movimento della Terra portò:
1) «le maree, il flusso e il riflusso del mare». Ma noi sappiamo, come già gli fecero notare i
consultori romani, che le maree dipendono direttamente dall’attrazione della Luna e non (o solo
in parte) dal movimento di rotazione della Terra e dalla sua sovrapposizione con il movimento di
rivoluzione attorno al Sole. Keplero aveva già prospettato questa verità, ma Galileo non aveva
mai voluto accettarla;
2) come ulteriore prova portava la sua scoperta delle macchie solari (9), che non si capisce
bene cosa c’entrassero;
3) prova definitiva poi doveva essere la massima: «prova la terra moversi per quel principio fisico che la natura non opera per molti mezzi ciò che può conseguir per pochi, et frustra fit per
plura quod fieri potest per pauciora» (10).
Il cardinale Bellarmino lo aveva ribadito molto bene: « (...) 2° Dico che, come lei sa, il Concilio
prohibisce esporre le Scritture contra il commune consenso de’ Santi Padri. 3° Dico che quando
ci fusse vera demostratione che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo, e che il Sole non circonda la terra, ma la terra circonda il sole allhora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e piú tosto dire che non
l’intendiamo che dire che sia falso quello che si dimostra. Ma io non crederò che ci sia tal
dimostratione, fin che non mi sia mostrata…» (11).
Il Sant’Uffizio nel processo a Galilei non pretendeva che lo scienziato pisano rinunciasse alla
convinzione eliocentrica, bensì che ne parlasse per quello che effettivamente era, cioè
un’ipotesi.
La Chiesa, così come il Sant’Uffizio, chiedevano solo la «dimostratione».
Non mi sembra che fosse una richiesta eccessiva.
Galilei non la diede e pertanto anche oggi sarebbe condannato per diffamazione o, come dice la Corte dei Conti, per danno all’immagine dell’amministrazione.
Ma qualcuno obietterà: Galilei non diede la dimostrazione, perché all’epoca non c’erano le conoscenze e gli strumenti adeguati, ma adesso… sarebbe un’altra storia.
Perfino Antonino Zichichi nel suo «Galilei: divin uomo» (12) riconosce che «insomma, Galilei
era convinto che la Terra non avesse alcun motivo per restare ferma al centro del mondo con
innumerevoli corpi celesti alla sua mercé. Pur tuttavia mancava la prova decisiva. Non era
impresa da poco. C’è voluto un quarto di millennio per ottenerla…» (pagina 113).
Le prove che secondo Zichichi dimostrerebbero che Galilei aveva ragione sarebbero:
- la parallasse (prova principe);
- le stagioni;
- i quattro minuti (la differenza tra giorno sidereo e giorno solare);
- i tempi diversi dell’ «orologio celeste» di Galilei (la cui esistenza è legata ai movimenti orbitali
dei satelliti di Giove) (13).
Ora che un grande scienziato come Zichichi pretenda che l’eliocentrismo resti dimostrato con
questi mezzi (la parallasse non prova niente, presupponendolo già, essendo un rapporto tra la distanza delle stelle e la base presa; le altre «prove» poi si spiegano ugualmente
se è il Sole a girare attorno alla Terra) (14) è la dimostrazione provata che Galilei e il
geocentrismo ora come allora non hanno argomenti.
Sembra più sincera e coerente l’illuminante affermazione ritrovata nel sito web dell’Osservatorio
astronomico di Brera nella pagina, che ripercorre la storia della parallasse: «Dimostrare il moto
della Terra non era più necessario, dal momento che esso era divenuto una parte ormai
accettata della teoria» (15).
Cioè: siccome siamo tutti d’accordo, facciamo a meno di prove (perché non riusciamo a
trovarle, neanche false).
Ebbene Fernand Crombette (16) argomenta che nessuno ha portato queste prove, anzi gli
scientisti (17) non ne parlano proprio più, perché... la realtà è un’altra.
Alfonso Marzocco
1) «La riforma gregoriana del calendario: un ardito provvedimento scientifico del XVI secolo,
tuttora valido e in vigore in tutto il mondo civile», a cura di Girolamo Fantoni, in URL:
http://quadrantisolari.uai.it/articoli/art4.htm
2) Girolamo, Tiraboschi, «Storia della letteratura italiana» del cavaliere abate Girolamo
Tiraboschi, Firenze : presso Molini, Landi, e C.o, 1812. tomo 8.2.
3) Sentenza di condanna dei Galileo Galilei del 22 giugno 1633 in http://it.wikisource.org/wiki/
Sentenza_di_ condanna_ di_Galileo_Galilei: «Essendo che tu, Galileo fig.lo del q.m. Vinc.o
Galilei, Fiorentino, dell’età tua d’anni 70, fosti denunziato del 1615 in questo S.o Off.o, che
tenevi come vera la falsa dottrina, da alcuni insegnata, ch’il Sole sia centro del mondo e imobile,
e che la Terra si muova anco di moto diurno; ch’avevi discepoli, a’ quali insegnavi la medesima
dottrina; che circa l’istessa tenevi corrispondenza con alcuni mattematici di Germania; che tu
avevi dato alle stampe alcune lettere intitolate Delle macchie solari, nelle quali spiegavi l’istessa
dottrina come vera; che all’obbiezioni che alle volte ti venivano fatte, tolte dalla Sacra Scrittura,
rispondevi glosando detta Scrittura conforme al tuo senso; e successivamente fu presentata
copia d’una scrittura, sotto forma di lettera, quale si diceva esser stata scritta da te ad un tale
già tuo discepolo, e in essa, seguendo la posizione del Copernico, si contengono varie
proposizioni contro il vero senso e autorità della sacra Scrittura».
4) Parla William Shea, ospite del Meeting di Rimini, «Intervista di Luigi Dell’Aglio». su Avvenire
del 19 agosto 2003. William Shea, è stato chiamato a ricoprire dal 20 giugno la cattedra
galileiana di Storia della scienza, all’Università di Padova. Qui Galileo aveva insegnato per
diciotto anni, dal 1592 al 1610.
5) Antonino Zichichi, «Galilei, divin uomo», Milano, 2001, pagina 83.
6) D’altra parte bisogna pure incominciare a dire, contro l’agiografia ufficiale, che il
comportamento di Galileo fu spesso disinvolto: basti ricordare come si comportò con la sua
famiglia. Abbandonò la convivente a Padova quando ebbe un incarico più prestigioso in
Toscana. Togliendole pure i figli: un maschio e le due figlie femmine, che però costrinse a
monacarsi perché difficilmente avrebbero potuto fare un buon matrimonio, essendo di nascita
illegittime. «Virginia, che prese il nome di suor Maria Celeste, riuscì a portare cristianamente la
sua croce, visse con profonda pietà e in attiva carità verso il padre e le sue consorelle. Livia,
divenuta suor Arcangela, soccombette invece al peso della violenza subìta e visse nevrastenica
e malaticcia» (Sofia Vanni Rovighi).
7) Sentenza di condanna del Galileo Galilei del 22 giugno 1633 (vedi nota 3).
8) Allegato di Galileo in propria difesa del 10 maggio 1633. Documento 42 in «I documenti del
processo di Galileo Galilei», a cura di S.M.Pagano, Città del Vaticano, 1984.
9) «Le macchie solari costringono l’intelletto humano di ammettere il moto annuo della terra».
Pagina 337 del «Dialogo di Galileo Galilei Linceo matematico sopraordinario dello Studio di
Pisa. ... Doue ne i congressi di quattro giornate si discorre sopra i due massimi sistemi del
mondo tolemaico, e copernicano; proponendo indeterminatamente le ragioni filosofiche, e
naturali tanto per l’vna, quanto per l’altra parte»…
In Fiorenza: per Gio. Batista Landini, 1632.
10) «Dialogo…», pagina 110.
11) Lettera del cardinale Bellarmino a Paolo Antonio Foscarini, 12 aprile 1615.
12) Milano, 2001.
13) A. Zichichi, «Galilei, divin uomo», pagina 112.
14) Per determinare la parallasse stellare si sfrutta il supposto cambiamento di posizione
assunto dalla Terra durante il suo moto orbitale, cioè la parallasse annua. La tecnica sottintende
la conoscenza del diametro dell’orbita terrestre e richiede l’osservazione dello stesso oggetto
celeste a sei mesi di distanza per determinarne lo spostamento apparente rispetto allo sfondo.
La distanza delle stelle è calcolata sulla base delle parallassi misurate e, impiegando la
trigonometria, con l’aiuto del raggio R dell’orbita (supposta, TS) della Terra attorno al Sole. In
questo caso, è trascurabile sapere dove, sul globo terrestre, sia situato l’osservatorio (per
esempio a Chicago o a Roma), giacché lo sbaglio commesso durante la misura è senza grande
importanza. Al contrario, se la Terra non descrive che la piccola orbita del suo stesso raggio,
due constatazioni sono da fare:
- la distanza stella-Terra è ridotta molto fortemente e non costituisce più che la 1/23.425ª parte
della distanza attualmente accettata;
- non è allora più indifferente sapere dove sono piazzati gli osservatori. Le differenze tra le
parallassi misurate, ciascuna separatamente, vengono ad essere significative. Ed è
apparentemente questo il caso: basta consultare le parallassi dei diversi Osservatori
astronomici. Alla fine tutto si riduce a quale misura si prende come base: se si prende come
base del calcolo il raggio terrestre, le stelle potrebbero essere molto più vicine di quanto oggi si suppone e la posizione degli osservatori sulla Terra non è indifferente: in ogni caso le parallassi
stellari da sole non possono provare niente. Quindi non esiste ancora la prova che è la Terra a
girare intorno al Sole.
15) www.brera.inaf.it/utenti/stefano/calvino/majorana/Storia/
16) F. Crombette, «Galileo aveva torto o ragione…?» www.digilander.libero.it/crombette
17) Gli scientisti, a differenza dei veri scienziati, s’innamorano delle loro idee e sostengono
teorie non dimostrate come verità indiscutibili: ad esempio l’evoluzionismo. L’eliocentrismo è
un’altra teoria non dimostrata. E guai a metterle in discussione o a chiederne la prova.
Ricordano l’«eroico» colonnello inglese prigioniero dei giapponesi che nel film costruì il ponte
sul fiume Kway: era tanto preso dal suo ponte da non rendersi conto che lavorava per il nemico.
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