Alfonso Marzocco 20 maggio 2008
Pubblicato in "L'altra Napoli" supplemento a Nazione Napoletana. Anno XV, n. 1-6 (gen-giu 2008)
Durante il pontificato di Urbano VIII (1623-1644) la tendenza alla mitezza del Tribunale dell’Inquisizione romana si accentua.
La sua giurisdizione si esercita verso tutta la Cristianità, ma in pratica ha bisogno che gli Stati rendano esecutive le sue sentenze.
Cardinali e notabili della Chiesa conoscevano bene le varie teorie astronomiche: era di pochi decenni prima la storica riforma gregoriana del calendario (1) valida ancora oggi a distanza di secoli.
Conoscevano anche le teorie di Galileo Galilei, che le aveva espresse tra l’altro anche nei giardini Vaticani e al futuro Papa Urbano VIII, con il quale si era incontrato almeno sei volte (2).
Era amico dei potenti Medici, granduchi di Toscana, a cui aveva dedicato alcune scoperte astronomiche. Commentatori della teoria copernicana avevano avuto anche riconoscimenti e apprezzamenti dal Papa. Eppure il processo a Galileo si svolge proprio in questo periodo: come mai?
Abbiamo la fortuna di avere buona parte dei documenti del processo contro Galileo, anche se qualcosa è andato perso nel trasferimento a Parigi degli archivi della Chiesa all’epoca di Napoleone.
Occorre leggerli e, per fare un collegamento con la realtà attuale, si avrà l’impressione di avere a che fare con un processo per diffamazione.
E’ un principio giuridico valido anche oggi che chi si ritiene diffamato può denunciare il presunto diffamatore e chiederne la condanna, dando o meno ampia facoltà di prova a seconda che
preferisca vedersi tutelato l’onore formale o sostanziale.
Non solo, ma una recente sentenza della Corte di Conti ha ricondotto fra i valori immateriali di
ogni amministrazione la tutela della propria immagine, ossia la «tutela della propria identità, del
buon nome, della reputazione e credibilità» degli apparati pubblici (Sentenza del 23 aprile 2003,
numero 10/2003/QM).
Nel caso di Galileo, mi si passi l’ immagine, ci troviamo di fronte a un caso di diffamazione a
mezzo stampa o almeno di lesione della propria immagine, nel quale la Chiesa, non
trincerandosi dietro la propria autorità, diede ampia facoltà di prova e pertanto diede la
possibilità e l’occasione a Galileo Galilei di dimostrare ufficialmente la teoria eliocentrica.
In sintesi il Santo Uffizio dichiarava: Tu, Galileo, affermi che la mia interpretazione della Bibbia è
sbagliata: mostrami le prove della tua affermazione (3).
Senza dilungarci nel ripetere la storia degli antefatti e del processo, che le persone informate e
in buona fede conoscono bene, occorre riportarne almeno i sommi capi.
Nel febbraio 1616 il Santo Uffizio aveva espresso una condanna per le teorie eliocentriche
copernicane, considerate stolte ed assurde, proibendo di difenderle come realtà fisica, ma
consentendo di parlarne come ipotesi geometriche.
Galileo, che era stato denunciato al riguardo nel 1615, se la cavò con un ammonimento che gli
fu notificato nel 1616 dal santo e dotto cardinale Bellarmino (1542-1621).
Nel 1632, dimentico dell’ammonimento, prova a far stampare a Roma il «Dialogo sui massimi
sistemi del mondo».
Non ci riesce, e lo fa stampare a Firenze senza le autorizzazioni di rito.
Ma il peggio viene dopo.
Nel libro, mettendo in scena la discussione sul sistema copernicano, Galileo presenta tre
personaggi: il Salviati (portavoce dell’autore, che spiega la teoria di Copernico), il Sagredo, exallievo
di Galileo, e un professore aristotelico che è una persona alquanto stupida e si chiama
Simplicio.
Guarda un po’, proprio a Simplicio Galileo affida il compito di illustrare le argomentazioni di
Urbano VIII. Come se non bastasse, fa dire a Sagredo, in tono di scherno, rivolto a Simplicio:
«Oh che bella dottrina è la vostra! Davanti ad essa dobbiamo tacere; ma io l’ho già sentita da
una somma autorità…».
Qui bisogna dire che è l’arroganza di Galileo a provocare l’irreparabile (4).
Viene convocato a Roma per giustificare le sue affermazioni ed eventualmente portare le prove
sperimentali o scientifiche di quanto da lui affermato (il Sole è fermo ed è al centro dell’Universo;
la Terra si muove anche di moto diurno e pertanto non è al centro del Mondo) contro
l’interpretazione tradizionale della Bibbia, che riteneva la Terra al centro o molto prossima al
centro dell’Universo.
Bisogna riconoscere che Galilei non mise mai in dubbio il diritto della Chiesa ad intervenire, (5)
ma si comportò in maniera alquanto disinvolta (6): si dà prima per ammalato e si fa
raccomandare finanche da Michelangelo Buonarroti, omonimo nipote del grande scultore e architetto.
Messo alle strette, si decide finalmente a partire per Roma.
Depone prima che non ricordava bene l’ammonimento già ricevuto, poi che aveva inteso
illustrare semplicemente le due teorie senza prendere parte per una di esse, così come a suo
tempo consentito dal cardianale Bellarmino.
Poi si rende conto che l’ha detta grossa e chiede di fare una nuova deposizione il 30 aprile
1633, nella quale ammette che spiegava la posizione copernicana come vera, ma l’aveva fatto
(glossando la Santa Scrittura conforme al suo senso) (7) solo per per mostrare tutta la
sottigliezza della sua capacità argomentativa: «… Il lettore, non consapevole dell’intrinseco mio,
harebbe havuto cagione di formarsi concetto che gli argomenti portati per la parte falsa e ch’io
intendevo confutare, fussero in tal guisa pronunciati, che più tosto per la loro efficacia fussero
potenti a stringere, che facili ad esser sciolti… avidior sim gloria quam satis sit» [non per malizia
ma per vana ambizione].
Alla fine si rende conto che i cardinali giudicanti avrebbero dovuto essere completamente stupidi
per accettare una simile giustificazione e si rimette alla loro «clemenza e benignità»,
giustificandosi con i malanni e con l’età (8).
Insomma non dà una bella prova di sé: porta le giustificazioni standard di un impiegato statale
(tra l’altro lo era veramente: infatti era docente universitario), presentando certificati medici,
lettere di raccomandazione e di scuse varie: prove, niente.
Come prova fisica del movimento della Terra portò:
1) «le maree, il flusso e il riflusso del mare». Ma noi sappiamo, come già gli fecero notare i
consultori romani, che le maree dipendono direttamente dall’attrazione della Luna e non (o solo
in parte) dal movimento di rotazione della Terra e dalla sua sovrapposizione con il movimento di
rivoluzione attorno al Sole. Keplero aveva già prospettato questa verità, ma Galileo non aveva
mai voluto accettarla;
2) come ulteriore prova portava la sua scoperta delle macchie solari (9), che non si capisce
bene cosa c’entrassero;
3) prova definitiva poi doveva essere la massima: «prova la terra moversi per quel principio fisico che la natura non opera per molti mezzi ciò che può conseguir per pochi, et frustra fit per
plura quod fieri potest per pauciora» (10).
Il cardinale Bellarmino lo aveva ribadito molto bene: « (...) 2° Dico che, come lei sa, il Concilio
prohibisce esporre le Scritture contra il commune consenso de’ Santi Padri. 3° Dico che quando
ci fusse vera demostratione che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo, e che il Sole non circonda la terra, ma la terra circonda il sole allhora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e piú tosto dire che non
l’intendiamo che dire che sia falso quello che si dimostra. Ma io non crederò che ci sia tal
dimostratione, fin che non mi sia mostrata…» (11).
Il Sant’Uffizio nel processo a Galilei non pretendeva che lo scienziato pisano rinunciasse alla
convinzione eliocentrica, bensì che ne parlasse per quello che effettivamente era, cioè
un’ipotesi.
La Chiesa, così come il Sant’Uffizio, chiedevano solo la «dimostratione».
Non mi sembra che fosse una richiesta eccessiva.
Galilei non la diede e pertanto anche oggi sarebbe condannato per diffamazione o, come dice la Corte dei Conti, per danno all’immagine dell’amministrazione.
Ma qualcuno obietterà: Galilei non diede la dimostrazione, perché all’epoca non c’erano le conoscenze e gli strumenti adeguati, ma adesso… sarebbe un’altra storia.
Perfino Antonino Zichichi nel suo «Galilei: divin uomo» (12) riconosce che «insomma, Galilei
era convinto che la Terra non avesse alcun motivo per restare ferma al centro del mondo con
innumerevoli corpi celesti alla sua mercé. Pur tuttavia mancava la prova decisiva. Non era
impresa da poco. C’è voluto un quarto di millennio per ottenerla…» (pagina 113).
Le prove che secondo Zichichi dimostrerebbero che Galilei aveva ragione sarebbero:
- la parallasse (prova principe);
- le stagioni;
- i quattro minuti (la differenza tra giorno sidereo e giorno solare);
- i tempi diversi dell’ «orologio celeste» di Galilei (la cui esistenza è legata ai movimenti orbitali
dei satelliti di Giove) (13).
Ora che un grande scienziato come Zichichi pretenda che l’eliocentrismo resti dimostrato con
questi mezzi (la parallasse non prova niente, presupponendolo già, essendo un rapporto tra la distanza delle stelle e la base presa; le altre «prove» poi si spiegano ugualmente
se è il Sole a girare attorno alla Terra) (14) è la dimostrazione provata che Galilei e il
geocentrismo ora come allora non hanno argomenti.
Sembra più sincera e coerente l’illuminante affermazione ritrovata nel sito web dell’Osservatorio
astronomico di Brera nella pagina, che ripercorre la storia della parallasse: «Dimostrare il moto
della Terra non era più necessario, dal momento che esso era divenuto una parte ormai
accettata della teoria» (15).
Cioè: siccome siamo tutti d’accordo, facciamo a meno di prove (perché non riusciamo a
trovarle, neanche false).
Ebbene Fernand Crombette (16) argomenta che nessuno ha portato queste prove, anzi gli
scientisti (17) non ne parlano proprio più, perché... la realtà è un’altra.
Alfonso Marzocco
1) «La riforma gregoriana del calendario: un ardito provvedimento scientifico del XVI secolo,
tuttora valido e in vigore in tutto il mondo civile», a cura di Girolamo Fantoni, in URL:
http://quadrantisolari.uai.it/articoli/art4.htm
2) Girolamo, Tiraboschi, «Storia della letteratura italiana» del cavaliere abate Girolamo
Tiraboschi, Firenze : presso Molini, Landi, e C.o, 1812. tomo 8.2.
3) Sentenza di condanna dei Galileo Galilei del 22 giugno 1633 in http://it.wikisource.org/wiki/
Sentenza_di_ condanna_ di_Galileo_Galilei: «Essendo che tu, Galileo fig.lo del q.m. Vinc.o
Galilei, Fiorentino, dell’età tua d’anni 70, fosti denunziato del 1615 in questo S.o Off.o, che
tenevi come vera la falsa dottrina, da alcuni insegnata, ch’il Sole sia centro del mondo e imobile,
e che la Terra si muova anco di moto diurno; ch’avevi discepoli, a’ quali insegnavi la medesima
dottrina; che circa l’istessa tenevi corrispondenza con alcuni mattematici di Germania; che tu
avevi dato alle stampe alcune lettere intitolate Delle macchie solari, nelle quali spiegavi l’istessa
dottrina come vera; che all’obbiezioni che alle volte ti venivano fatte, tolte dalla Sacra Scrittura,
rispondevi glosando detta Scrittura conforme al tuo senso; e successivamente fu presentata
copia d’una scrittura, sotto forma di lettera, quale si diceva esser stata scritta da te ad un tale
già tuo discepolo, e in essa, seguendo la posizione del Copernico, si contengono varie
proposizioni contro il vero senso e autorità della sacra Scrittura».
4) Parla William Shea, ospite del Meeting di Rimini, «Intervista di Luigi Dell’Aglio». su Avvenire
del 19 agosto 2003. William Shea, è stato chiamato a ricoprire dal 20 giugno la cattedra
galileiana di Storia della scienza, all’Università di Padova. Qui Galileo aveva insegnato per
diciotto anni, dal 1592 al 1610.
5) Antonino Zichichi, «Galilei, divin uomo», Milano, 2001, pagina 83.
6) D’altra parte bisogna pure incominciare a dire, contro l’agiografia ufficiale, che il
comportamento di Galileo fu spesso disinvolto: basti ricordare come si comportò con la sua
famiglia. Abbandonò la convivente a Padova quando ebbe un incarico più prestigioso in
Toscana. Togliendole pure i figli: un maschio e le due figlie femmine, che però costrinse a
monacarsi perché difficilmente avrebbero potuto fare un buon matrimonio, essendo di nascita
illegittime. «Virginia, che prese il nome di suor Maria Celeste, riuscì a portare cristianamente la
sua croce, visse con profonda pietà e in attiva carità verso il padre e le sue consorelle. Livia,
divenuta suor Arcangela, soccombette invece al peso della violenza subìta e visse nevrastenica
e malaticcia» (Sofia Vanni Rovighi).
7) Sentenza di condanna del Galileo Galilei del 22 giugno 1633 (vedi nota 3).
8) Allegato di Galileo in propria difesa del 10 maggio 1633. Documento 42 in «I documenti del
processo di Galileo Galilei», a cura di S.M.Pagano, Città del Vaticano, 1984.
9) «Le macchie solari costringono l’intelletto humano di ammettere il moto annuo della terra».
Pagina 337 del «Dialogo di Galileo Galilei Linceo matematico sopraordinario dello Studio di
Pisa. ... Doue ne i congressi di quattro giornate si discorre sopra i due massimi sistemi del
mondo tolemaico, e copernicano; proponendo indeterminatamente le ragioni filosofiche, e
naturali tanto per l’vna, quanto per l’altra parte»…
In Fiorenza: per Gio. Batista Landini, 1632.
10) «Dialogo…», pagina 110.
11) Lettera del cardinale Bellarmino a Paolo Antonio Foscarini, 12 aprile 1615.
12) Milano, 2001.
13) A. Zichichi, «Galilei, divin uomo», pagina 112.
14) Per determinare la parallasse stellare si sfrutta il supposto cambiamento di posizione
assunto dalla Terra durante il suo moto orbitale, cioè la parallasse annua. La tecnica sottintende
la conoscenza del diametro dell’orbita terrestre e richiede l’osservazione dello stesso oggetto
celeste a sei mesi di distanza per determinarne lo spostamento apparente rispetto allo sfondo.
La distanza delle stelle è calcolata sulla base delle parallassi misurate e, impiegando la
trigonometria, con l’aiuto del raggio R dell’orbita (supposta, TS) della Terra attorno al Sole. In
questo caso, è trascurabile sapere dove, sul globo terrestre, sia situato l’osservatorio (per
esempio a Chicago o a Roma), giacché lo sbaglio commesso durante la misura è senza grande
importanza. Al contrario, se la Terra non descrive che la piccola orbita del suo stesso raggio,
due constatazioni sono da fare:
- la distanza stella-Terra è ridotta molto fortemente e non costituisce più che la 1/23.425ª parte
della distanza attualmente accettata;
- non è allora più indifferente sapere dove sono piazzati gli osservatori. Le differenze tra le
parallassi misurate, ciascuna separatamente, vengono ad essere significative. Ed è
apparentemente questo il caso: basta consultare le parallassi dei diversi Osservatori
astronomici. Alla fine tutto si riduce a quale misura si prende come base: se si prende come
base del calcolo il raggio terrestre, le stelle potrebbero essere molto più vicine di quanto oggi si suppone e la posizione degli osservatori sulla Terra non è indifferente: in ogni caso le parallassi
stellari da sole non possono provare niente. Quindi non esiste ancora la prova che è la Terra a
girare intorno al Sole.
15) www.brera.inaf.it/utenti/stefano/calvino/majorana/Storia/
16) F. Crombette, «Galileo aveva torto o ragione…?» www.digilander.libero.it/crombette
17) Gli scientisti, a differenza dei veri scienziati, s’innamorano delle loro idee e sostengono
teorie non dimostrate come verità indiscutibili: ad esempio l’evoluzionismo. L’eliocentrismo è
un’altra teoria non dimostrata. E guai a metterle in discussione o a chiederne la prova.
Ricordano l’«eroico» colonnello inglese prigioniero dei giapponesi che nel film costruì il ponte
sul fiume Kway: era tanto preso dal suo ponte da non rendersi conto che lavorava per il nemico.
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