Gentilissimo Signor Direttore,
sono un cattolico che si sforza di essere figlio obbediente e devoto della Chiesa, siccome convinto che extra Ecclesia nulla salus, e che lo Spirito ha stabilito un'unità indisolubile tra la Tradizione, la Scrittura, il magistero pontificio e il sacerdozio cattolico, affinché la Parola e la Persona di Cristo continuino la propria presenza e azione nella storia e ci siano comunicate nella loro autenticità e realtà. Dunque, non ho nessuna inclinazione anticristiana, antiecclesiale e anticlericale (su quest'ultima forse sono un po' bugiardo).
Ciò premesso onde evitare equivoci, mi chiedo perché certi monsignori parlino tanto di cose che non sanno o di cui non dovrebbero, e poco di ciò che invece dovrebbe martellare le nostre coscienze.
Mons. Crociata - ma non potevano sceglierne uno con un nome un po' meno impegnativo? - dice che, secondo i suoi dati, gli stranieri delinquono quanto gl'italiani. Naturalmente, non in polemica con Berlusconi, ma per amore della verità, e forse anche per farlo stare un po' Bonino.
Non so di quali dati siano in possesso i vescovi italiani e mons. Crociata. Io leggo quelli diffusi dal Ministero dell'Interno, dall'Istat e dalla Fondazione ISMU, da cui risulta che gli stranieri cosiddetti regolari delinquono tre volte più degl'italiani e quelli clandestini ben ventotto volte di più. Potrei scendere nel dettaglio, ma la farei troppo lunga. Mi limito solo a segnalare i dati relativi ai furti con destrezza (i "clandestini" ne commettono centoquarantassette volte di più degl'italiani) e agli omicidi (ventisei volte di più).
Certo, in ogni popolazione vi sono i buoni e i cattivi, e non traggo da questi dati alcuna conclusione etnicistica e men che meno razzista (ciò che è più lontano dalle mie idee e dalla mia sensibilità). Ma il problema esiste. Ed esisterebbe, con buona pace di tutti i monsignori tanto Bonini, anche se fossero veri i dati sbandierati come una Crociata, cioè la parità delinquenziale tra nativi e stranieri.
In proposito mi permetto di citarmi da una "lettera" dell'8 maggio 2007.
"Se a casa mia mio figlio combina un disastro - ed io, che di figli ne ho cinque, ho vasta esperienza di tali accadimenti -, non gradisco, intervengo, punisco, ma in fondo so che è uno dei 'costi' della famiglia. E' nelle cose, e mi devo rassegnare: è fisiologico.
Se, invece, il disastro - e magari d'una certa entità - lo combina un ospite, e per giunta non invitato, la cosa assume, quanto meno, un carattere di straordinarietà, è cioè un po' meno fisiologica".
Insomma, se ai disastri di chi non può essere espulso siccome cittadino si sommano quelli combinati dagli ospiti, invitati o non, la cifra assoluta raggiunge livelli intollerabili. E' assurdo pensare di ridurla anche (e sottolineo anche) riducendo il fattore "ospiti", magari soprattutto sotto la voce "non invitati", e quindi selezionarli con più attenzione?
Anche se il conto criminale tra nativi e stranieri fosse pari. Ma sembra proprio che pari non sia. E i nostri monsignori dovrebbero informarsi meglio: il dovere della verità riguarda certo i grandi principi, ma anche i piccoli eppure tanto importanti fatti, che nemmeno Dio può cancellare (quod factum infectum fieri nequit), figuriamoci la CEI.
Cordialmente
Giovanni Formicola
da lettere@ilfoglio.it
29-01-2010
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