La pace sia con te

sabato 18 aprile 2009

Novus Ordo Missae e Motu proprio di papa Benedetto XVI sul "rito in latino".

Don Piero Cantoni ne il "Novus Ordo Missae e
Fede Cattolica. Massa, 1 gennaio 1988" arriva alla seguente

"CONCLUSIONE (pagg. 131-134)
Giunti al termine del nostro cammino, è arrivato il momento di
lanciare uno sguardo retrospettivo all'itinerario percorso.
Siamo partiti da questa domanda fondamentale: le critiche di
radicale protestantizzazione rivolte al NOM (Novus Ordo Missae), che si presenta con caratteristiche tanto diverse dall'ordo tradizionale e con tante somiglianze con la pratica protestantica, sono giustificate?
Per rispondere a questo quesito abbiamo, anche se
frettolosamente, interrogato la storia, per cogliere i punti essenziali di
divisione/distinzione fra concezione cattolica e protestantica della Messa.
Identificatili nel carattere sacrificale, nella presenza reale e nel
sacerdozio ministeriale, ci siamo accinti a verificarne il permanere nel
nuovo rito, nella sua «introduzione generale» e nelle sue rubriche.
Ci è sembrato tuttavia necessario premettere due esposizioni di
carattere teologico e metodologico. Perché la Messa è sacrificio? Perché è
«imago repraesentativa passionis Christi», risponde san Tommaso.
Perché è il «memoriale della morte del Signore», dice la tradizione. Il
concetto chiave di memoriale si trova così inserito nella «sana dottrina».
Quali sono i criteri corretti di interpretazione di un testo liturgico e di
un atto del magistero (perché in casu si tratta dell'uno e dell'altro)?
Poiché si tratta di interpretare un testo, il problema di una corretta
metodologia che tenga conto della natura del testo si impone, e si rivela
in definitiva come il punto centrale. L'allargamento dell'orizzonte
ermeneutico alle note e ai pronunciamenti del Magistero nella loro
continuità costituisce un imprescindibile dovere. Solo in questo
contesto allargato si può cogliere il senso proprio e oggettivo dei nostri
testi ed esso si rivela inequivocabilmente cattolico.
La prova documentaria si snoda seguendo i punti dottrinali cardine che si vuole verificare negli articoli dell'IGMR ( Institutio generalis Missalis Romani) e nelle preghiere dell'OM.
a) Si constata allora che il carattere sacrificale non è negato
coll'uso del termine «memoriale» e che il fine propiziatorio è affermato
con l'affermata identità di sacrificio del Calvario e sacrificio eucaristico e con l'uso di termini equivalenti.
b) Si constata che il sospetto silenzio sul termine scottante
«transustanziazione» è stato corretto nel testo definitivo, che l'insistenza su altre forme di presenza di Cristo, diverse da quella eucaristica, non esce dall'ambito della concezione cattolica della presenza eucaristica «reale non per esclusione ma per antonomasia» (Mysterium fidei).
c) Si constata che la differenza essenziale fra sacerdozio comune e
sacerdozio ministeriale è nuovamente affermata e l'insistenza sulla
partecipazione dei fedeli si inserisce in una concezione «organica» e non
ha niente a che vedere con la concezione indifferenziata dei protestanti.
Fatta la verifica che il rito è sostanzialmente cattolico, ci siamo
posti la domanda se – data la sua indiscutibile natura di «misura di
interesse generale» emanante dalla suprema autorità della Chiesa –
sarebbe stato, per ipotesi, possibile giungere ad una conclusione
contraria. La dottrina sull'infallibilità dottrinale e pratica della Chiesa
ha confermato i nostri rilievi. Problematica esaminata dopo nella
riflessione teologica, ma che viene prima nel concreto esercizio dell'atto
di fede.
Una raccolta di testi del Magistero viene a fornire il supporto
documentario (non completo, ma sufficientemente vasto) alla nostra
linea interpretativa, mentre qualche testo liturgico, esaminato nelle sue
parti più importanti, costituisce una ulteriore, preziosa, verifica.
Abbiamo detto all'inizio che era nostra intenzione fare
dell'apologetica autentica, la quale, fondata come è sulla verità e
sull'obiettività, non può esimersi dal registrare anche quello che le
critiche hanno di vero. Questo è importante per comprendere come le
critiche sono state possibili e per aprire la strada ad una soluzione che
dia soddisfazione ai malcontenti fondati.

Abbiamo così riscontrato uno sbilanciamento ecumenico
eccessivo che dà luogo ad una certa confusione. L'attenuazione dei
termini efficacemente propiziatori risulta poi tanto più pericolosa in
quanto avviene nel contesto edonistico contemporaneo che ha perduto –
è cosa evidente per tutti – il senso del peccato e ha dimenticato il valore
del sacrificio. La centralità della presenza eucaristica risulta anch'essa
attenuata, quando si tratta del nucleo centrale del mistero e di qualcosa
di particolarmente ostico per la mentalità moderna refrattaria al
«miracolo» e al «mistero» (e quindi bisognoso di più ferma professione).
Anche la sottolineatura unidirezionale del sacerdozio dei fedeli ci pare
molto pericolosa nel contesto ugualitaristico contemporaneo, per cui il
rischio di comprendere tutto – senza distinzioni – in un'ottica
«democratica» risulta tutt'altro che chimerico.
La prima redazione dell'IGMR ha poi messo in circolazione un
testo (il famoso articolo 7) perlomeno gravemente ambiguo nella forma
(definizione?) e nel contenuto (la Messa è un'assemblea?). Questo testo
purtroppo, nonostante l'autorità lo abbia corretto e abbia dunque
lasciato il testo modificato come unico valido, continua a circolare ...
A queste (e ad altre che si trovano sparse nel tessuto
dell'argomentazione) si può aggiungere una osservazione di carattere
più generale.
Il fatto che il NOM si presenti come un rito nuovo. Nuovo sotto
tanti punti di vista. Quanto al modo della sua comparsa: «molto è
successo in modo troppo improvviso – osserva il card. Ratzinger – in
modo tale che per molti fedeli non era più riconoscibile l'intima unità
con ciò che precedeva». Quanto alla relazione con il Messale precedente:
«si è data l'impressione di un nuovo libro, anziché presentare il tutto
nell'unità della storia liturgica» e con il Concilio: «qui è stato travolto
anche lo stesso Concilio, che per esempio aveva ancora detto che la
lingua del rito latino rimaneva il latino dando alla lingua volgare uno
spazio conveniente. Oggi ci si può chiedere se esiste ancora un rito
latino; una coscienza di esso è a stento ancora riscontrabile». Quanto al
modo con cui è stato realizzato: il nuovo Messale «è stato realizzato
come se fosse un nuovo libro elaborato da professori e non una fase di
una crescita continuata. Una cosa simile, in questa forma, non era mai
successa, contraddice il modello del divenire liturgico e proprio questo
procedimento ha soprattutto provocato l'idea assurda che Trento e Pio V
avessero fatto, da parte loro, un messale quattrocento anni fa. La
liturgia cattolica è stata così declassata a prodotto degli inizi dell'età
moderna e, in questo modo, si è prodotto uno scivolamento di
prospettiva che è inquietante». Inquietante perché rischia di
compromettere qualcosa di essenziale: «la coscienza dell'ininterrotta
intima unità della storia della fede, che si manifesta proprio nell'attuale
unità della preghiera proveniente da questa storia»1.
Ciononostante dobbiamo affermare, come conclusione che ci pare
ampiamente dimostrata dal nostro studio, che l'«intima unità» di cui
parla il card. Ratzinger, sia sostanzialmente conservata nel NOM, anche
se la sua manifestazione ha subito qualche attenuazione.

Non si può legittimamente mettere in dubbio che si tratti di un rito cattolico, che rappresenta, rispetto alla sostanza del mistero celebrato, un cambiamento soltanto accidentale, espressione di un avvicinamento
ecumenico, che può essere discutibile nella «politica» che sottintende,
ma non può essere accusato di compromesso dogmatico.
Detto questo non possiamo non auspicare che una «riforma della
riforma» venga a ridonare una maggiore limpidità al rito della Messa,
fugando definitivamente ogni restante ombra e permettendo così a tutti,
anche a coloro che un certo ecumenismo ha allontanato, di partecipare
ancor meglio al mistero del Corpo e del Sangue del Signore, in attesa
che, caduto il velo dei sacramenti, possiamo partecipare insieme, nella
visione, alla Messa eterna."


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In termini sintetici il dotto studio di don Piero Cantoni arriva alla conclusione che il "Novus ordo missae", cioè il messale introdotto da Papa Paolo VI nel 1969 con la Costituzione Missale romanum, è un rito cattolico attenuato.

Adesso si capisce perché il 7 luglio 2007 Benedetto XVI ha pubblicato l'attesissimo "motu proprio" papale sul rito della messa anteriore alla riforma del 1970 assieme a una lettera di spiegazione ai vescovi.
Attenuare significa diminuire (cfr. Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia. Torino, 1970).
Infatti si parla di circostanze attenuanti per indicare un qualcosa che comporta una diminuzione della pena.

A questo punto una domanda sorge spontanea: a chi giova avere una Santa Messa attenuata, quando la si potrebbe avere intera?

Quale madre darebbe ai propri figli un cibo attenuato , cioé diminuito di proteine, vitamine e sali minerali, anziché intero?
Sì, con il cibo attenuato, depauperato delle sostanze nutritive, si vive lo stesso ma di una vita stentata e debole: un'altra cosa è la la vera salute, vita piena, rigogliosa e forte.


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