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domenica 9 maggio 2010

L'ABORTO CHE NESSUNO RACCONTA: il feto pu' sopravvivere due giorni

Il feto sopravvissuto? È l’aborto choc che nessuno racconta

Il piccolo è rimasto in vita due giorni. Succede spesso se l’interruzione avviene
oltre la metà della gravidanza. In questi casi i neonati vengono lasciati morire
senza assistenza

di Melania Rizzoli*

Il cappellano del nosocomio di Rossano, in provincia di Cosenza, sabato scorso
aveva saputo che la mattina presto era stato eseguito un aborto terapeutico nel
suo ospedale, e verso le 12, dopo aver celebrato la messa e aver fatto il giro dei
malati nelle corsie, si è avviato nella sala operatoria dove era avvenuta
l’interruzione di gravidanza, per pregare per un’altra anima mai venuta al
mondo.
Il prete si è avvicinato al tavolo di metallo dove, in un fagottino di tela bianca, era
stato deposto il feto di 22 settimane abortito da oltre quatto ore… e con orrore ha
notato un movimento. Quando ha scostato il telo ha potuto constatare che il feto
non solo non era morto, ma era ancora vivo, respirava e si muoveva, nonostante
il cordone ombelicale non legato, il tempo trascorso dall’uscita dall’utero
materno, e il freddo dell’aria condizionata, sempre accesa in sala operatoria.
Fatta la drammatica scoperta il cappellano ha chiesto aiuto, ha protestato per la
mancanza di cure e di assistenza e quindi il piccolo bambino abortito è stato
infilato in un’incubatrice di Neonatologia nell’ospedale civile dell’Annunziata di
Cosenza dove ha smesso di respirare ben due giorni dopo, lunedì mattina.
La Procura ha aperto un’inchiesta e l’opinione pubblica griderà allo scandalo e
all’orrore per questo caso. Ma è necessario sapere che casi del genere succedono
di frequente. Proprio così.
Una gravidanza regolare dura quaranta settimane, per cui se un feto viene
abortito oltre la metà delle settimane di gestazione, ma spesso anche prima, è
molto probabile che nasca vivo. Anzi molto spesso nasce vivo. In sala operatoria
il medico abortista consegna il feto abortito, a cui non viene legato il cordone
ombelicale per accelerarne la morte, né viene riservata alcun tipo di assistenza,
ad un’infermiera che lo avvolge in un fagotto di garze, appunto, e lo pone su un
tavolino lì vicino, mentre le attenzioni di tutti i presenti si concentrano
nuovamente sulla donna adulta e viva, che ha appena partorito, spesso in
anestesia, mentre il feto appena nato viene abbandonato in solitudine al suo
destino, che è appunto quello di essere stato abortito. Nessuno dell’équipe
medica e infermieristica operativa e in nessun modo ha l’autorizzazione, il
compito, e la facoltà di sopprimere il feto nato vivo, né di accelerare la sua fine,
per cui si attende, lasciandolo senza assistenza medica né assistenza terapeutica,
che la vita, o la morte, faccia il suo «naturale» decorso.
Molte volte, come nel caso di Cosenza, un feto, anche se malformato, può
resistere in vita anche diverse ore, con grande disagio ed imbarazzo del personale
infermieristico che non può interrompere il servizio, né rendere agibile la sala
operatoria per un altro intervento, prima che tutto il precedente sia compiuto e
che la procedura sanitaria successiva sia terminata e certificata.
Non c’è nemmeno una norma o legge che impegni il personale sanitario a
monitorare il feto che nasce vivo, o a praticare su di lui alcunché, anche perché il
medico che interrompe la gravidanza è abilitato appunto all’esecuzione
dell’aborto, e quindi alla eliminazione definitiva del feto stesso.
Coloro che parleranno di questo caso come «caso raro», mentono o non
conoscono, o non hanno mai frequentato le sale ginecologiche né le sale
operatorie, in genere allestite per la salvaguardia e la tutela della vita umana, ma
talvolta adibite a scopi opposti.
Fortunatamente le molte madri mancate non conoscono queste storie dolorose,
non conoscono nemmeno il sesso del proprio bambino, non vengono a
conoscenza e non sanno quasi mai se il loro figlio abortito abbia respirato, vagito,
o mosso gli arti in attesa della fredda morte, vissuta in completa solitudine e
abbandono terapeutico, anzi nessuna di loro si pone proprio il problema, mai
reso pubblico e tanto crudele da sembrare inverosimile tanto da invocare la
strage degli innocenti.
In proposito mi vengono solo in mente i versi del poeta francese Guillaume
Apollinaire il quale, scrivendo delle madri rinunciatarie, recitava: «Mettono
bruscamente al mondo dei bambini, che hanno appena il tempo di morire».
Ecco, alcuni di loro, i più sfortunati certamente, hanno «abbastanza» tempo di morire…
*Medico, deputato Pdl

© IL GIORNALE ON LINE S.R.L

http://www.ilgiornale.it/interni/il_feto_sopravvissuto__laborto_choc_che_nessuno_ra... 27/04/2010

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