La fanciulla ebrea
di Hans Christian Andersen (trad. di Alda Manghi, copyr 1954 di Giulio Einaudi)
In una povera scuoletta, tra gli altri bambini, c'era
anche una piccola ebrea, intelligente e buona; era la prima della classe, ma
non poteva prender parte a tutte le lezioni: non doveva assistere all'ora di religione,
poiché era in una scuola cristiana.
Le davano il libro di geografia da studiarsi per
conto suo, e poteva fare il compito di aritmetica, ma quello era presto fatto, e la lezione presto
studiata; e cosi teneva davanti un libro spalancato, ma non lo leggeva, restava
ad ascoltare, e ben presto il maestro notò che stava attenta quasi più di tutti
gli altri.
- Leggi il tuo libro, - le diceva con seria dolcezza, ma la piccola
lo guardava con i suoi splendenti occhi neri, e se lui domandava qualcosa sapeva
rispondere meglio di tutti gli altri. Aveva udito, compreso , e serbato in
cuore quel che era stato detto.
Suo padre, poveretto, era un brav'uomo; quando aveva
iscritto la figlia aveva posto come condizione che non le fosse insegnata la
dottrina cristiana: farla uscire durante l'ora di religione sarebbe forse stato
urtante per gli altri bambini, avrebbe risvegliato nel loro intimo troppi
pensieri e sensazioni, e perciò essa era rimasta in classe, ma ora non si
poteva più andare avanti cosi.
Il maestro
andò dal padre, e gli disse di allontanare la piccola dalla scuola, o di farla
diventare cristiana. - Non posso resistere a quegli occhi ardenti, a quella
profondità di sentimento, a quella specie di sete spirituale verso le parole
del Vangelo! – dichiarò il maestro. Il padre allora scoppio in lacrime: - Per
me, so solo ben poco della nostra religione, - disse, - ma sua madre era una
vera figlia di Israele, convinta e forte nella sua fede, e al suo capezzale di
morte le promisi solennemente che la nostra creatura
non sarebbe mai stata battezzata; devo mantenere la mia promessa, è come
se avessi fatto un patto con Dio.
E la
piccola ebrea fu tolta dalla scuola cristiana.
E
passarono diversi anni.
In una delle più piccole
cittadine della Jutlandia una povera fanciulla di religione ebraica era al
servizio di una modesta famiglia borghese: era Sara; i sui capelli erano neri
come l’ebano, i suoi occhi scuri ma pieni di luce e di splendore, come hanno
per solito le figlie dell’oriente. L’espressione della ragazza, ormai diventata
grande, era la stessa che aveva avuto la bambina seduta nei banchi di scuola,
quando ascoltava con lo sguardo pensoso.
Ogni domenica uscivano dalla chiesa il suono
dell’organo e il canto dei fedeli, e giungevano fino alla casa dirimpetto, dove
stava lavorando la giovane ebrea, sempre diligente e fedele. « Ricordati di santificare il sabato »,
questa era la sua legge, ma per lei il sabato era giorno di lavoro, e poteva
santificarlo solo nel cuore, cosa che non riteneva sufficiente. « Ma che cosa
sono mai, per Iddio, i giorni e le ore? »
Quel pensiero era ormai sorto dal profondo della sua anima, e poi la
domenica era più adatta al raccoglimento, quando il suono dell’organo e i canti
dei fedeli giungevano sino a lei, in cucina, dietro il lavandino, e anche là si
spandeva la sacra pace di Dio. Allora leggeva il Vecchio Testamento, tesoro e
proprietà del suo popolo, non leggeva altro, perché quel che le avevano detto
il padre e il maestro quando era stata allontanata da scuola le era rimasto
impresso nel profondo dell’anima, cioè la promessa data alla madre morente, che
la piccola Sara non si sarebbe mai fatta cristiana, non avrebbe abbandonato la
fede dei suoi padri. Il nuovo testamento
era per lei un libro sigillato, e doveva restare tale, eppure lì c’erano
tante cose, che restavano tra i ricordi più luminosi della sua infanzia. Una
sera, mentre era seduta in un angolo della sala, sentì che il padrone leggeva
ad alta voce: poteva ascoltare anche lei, perché non era il Vangelo, ma un vecchio
libro di storia, e quello poteva bene ascoltarlo. Era la storia di un vecchio
cavaliere ungherese fatto prigioniero da un pascià turco, che lo aveva fatto
aggiogare all’aratro assieme ai buoi, costringendolo ad andare avanti a forza
di frustate, e lo aveva sottoposto a ogni sorta di ingiurie e di
maltrattamenti.
La moglie del cavaliere aveva venduto
tutte le sue gioie, dato in pegno il
castello e le terre e gli amici avevano sborsato molto denaro, perché la somma
richiesta per il riscatto era incredibilmente alta, ma si riuscì a metterla
insieme, il cavaliere fu liberato dalla schiavitù e dal disonore, e tornò a
casa, malato e sofferente. Ma ben presto fu nuovamente proclamata la lotta
contro i nemici del cristianesimo, il malato ne sentì parlare, e non ebbe più
un momento di pace: si fece issare sul suo cavallo, il sangue gli tornò alle
guance, parve riacquistare le forze, e partì verso la vittoria.
Quello stesso pascià che lo aveva
aggiogato all’aratro, ingiuriato e fatto soffrire cadde ora suo prigioniero, e
come tale fu condotto fin nelle prigioni del castello. Dopo neppure un’ora di
prigionia, il cavaliere andò dal suo prigioniero e gli chiese:
-
Cosa credi che
ti aspetti?
-
Lo so bene, -
rispose il turco, - la vendetta!
-
Sì, la vendetta
cristiana, - replicò il cavaliere. – Il cristianesimo ci comanda di perdonare i
nostri nemici e di amare il nostro prossimo. Dio è amore! Torna in pace in
patria, dai tuoi cari, e sii buono e misericordioso con quelli che soffrono!
Allora il
prigioniero scoppiò in lacrime: - Come avrei potuto pensare possibile una cosa
del genere! Ero certo che mi aspettavano torture e supplizi, e per questo
ingoiai un veleno che mi ucciderà in
poche ore. Dovrò morire, non c’è rimedio, ma prima annunciami la dottrina che
abbraccia in sé un tale amore e una tale grazia: essa è grande e divina! Fa’
che io muoia in essa, muoia cristiano!
- E la sua preghiera venne esaudita.
Ecco la
leggenda, la storia, che veniva letta ad alta voce, ed essa fu ascoltata e
seguita da tutti, ma nessuno ne fu acceso e infiammato più della ragazza seduta
in un cantuccio, Sara, la domestica, la giovane ebrea; grandi lacrime pesanti
le imperlarono gli occhi lucenti e neri come il carbone, ed essa rimase lì con
l’animo di una bambina, come una volta sui banchi di scuola, compresa della
grandezza del Vangelo. Le lacrime le scorrevano giù per le guance.
« Non far
diventare cristiana la mia bambina! » erano state le ultime parole della sua
mamma, sul letto di morte, ed esse le risonavano ancora nell’anima e nel cuore,
insieme a quelle del comandamento: « Onora il padre e la madre! »
- Ma io non
sono diventata cristiana! Mi chiamano l’ebrea, i figli del vicino me l’hanno
gridato come un ‘ingiuria l’altra domenica, quando mi fermai davanti alla porta
aperta della chiesa a guardar dentro, dove le candele brillavano sull’altare, e
i fedeli cantavano. Da quando andavo a scuola fino a oggi, ho sentito la forza
del cristianesimo; essa è come un raggio di sole, anche se chiudo gli occhi
illumina egualmente il mio cuore; ma io non ti addolorerò nella tomba, mamma!
Non verrò meno alla promessa che ti diede mio padre! Non voglio leggere la
Bibbia cristiana, io ho il Dio dei miei padri, sarà l’unico mio sostegno.
E passarono molti anni.
Il padrone morì, la padrona si trovò
in misere condizioni finanziarie, si dové fare a meno della donna di servizio,
ma Sara non se ne andò: essa fu l’aiuto nella sventura, fu lei a mandare avanti
le cose, lavorò fino a tarda notte, procurò il pane col lavoro delle sue mani;
non c’era nessun parente che potesse occuparsi della famiglia, e la padrona
divenne ogni giorno più debole, e fu costretta al letto per mesi e mesi. Sara
la vegliò, la curò, lavorò, sempre dolce e pia, una vera benedizione per quella
povera casa.
- Lì c’è la
Bibbia, - le disse la malata, - leggimela un poco in questa lunga sera, il mio
cuore anela di sentire la parola di Dio!
Sara piegò il capo: le sue mani si
giunsero sulla Bibbia, essa l’aprì e la lesse alla malata; spesso le venivano
le lacrime agli occhi, ma questi diventavano sempre più luminosi, e si fece
luce anche nel suo cuore: « Mamma, tua
figlia non si farà battezzare, non farà parte della comunità cristiana: tu hai
ordinato così, e io onorerò la tua volontà; per quanto riguarda questa terra
siamo d’accordo, ma nell’al di là esiste un’armonia più grande, in Dio: Egli ci
guida oltre la morte! Egli scende sulla terra, e dopo averla fatta languire la
ricopre di ricchezze! Io comprendo tutto questo! Non so io stessa come sia
stato, ma ciò è avvenuto con Lui, in Lui, in Cristo! »
Ed essa tremò nel pronunciare il
santo nome, e un battesimo di fiamma la irradiò, con maggiorr violenza di quel
che il corpo potesse sopportare, e così si piegò, divenuta più debole della
malata che essa vegliava.
- Povera
Sara, - dissero, - è estenuata dal lavoro e dalla veglia.
La portarono
all’ospedale dei poveri, e lì morì, e di lì venne portata alla tomba, ma non fu
seppellita nel cimitero cristiano, non era un posto adatto per un’ebrea, no, le
dettero sepoltura fuori, vicino al muro.
E il sole di Dio, che splendeva sulle sepolture dei
cristiani brillò anche sulla tomba della fanciulla ebrea, dall’altra parte del
muro, e i salmi cantati nel cimitero cristiano giunsero fino alla sua tomba, e
arrivò fino a lei l’annuncio della resurrezione in nome di Cristo, di Lui, il
Signore che disse ai suoi discepoli: «Giovanni battezzò con l’acqua, ma voi
sarete battezzati nello Spirito Santo!»______________________
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