La pace sia con te

martedì 9 ottobre 2012

DIO E' AMORE


La fanciulla ebrea

di Hans Christian Andersen (trad. di Alda Manghi, copyr 1954  di Giulio Einaudi)

In una povera scuoletta, tra gli altri bambini, c'era anche una piccola ebrea, intelligente e buona; era la prima della classe, ma non poteva prender parte a tutte le lezioni: non doveva assistere all'ora di religione, poiché era in una scuola cristiana.
Le davano il libro di geografia da studiarsi per conto suo,  e  poteva fare il compito di aritmetica, ma  quello era presto fatto, e la lezione presto studiata; e cosi teneva davanti un libro spalancato, ma non lo leggeva, restava ad ascoltare, e ben presto il maestro notò che stava attenta quasi più di tutti gli altri.
-  Leggi il tuo libro, - le diceva con seria dolcezza, ma la piccola lo guardava con i suoi splendenti occhi neri, e se lui domandava qualcosa sapeva rispondere meglio di tutti gli altri. Aveva udito, compreso , e serbato in cuore quel che era stato detto.
Suo padre, poveretto, era un brav'uomo; quando aveva iscritto la figlia aveva posto come condizione che non le fosse insegnata la dottrina cristiana: farla uscire durante l'ora di religione sarebbe forse stato urtante per gli altri bambini, avrebbe risvegliato nel loro intimo troppi pensieri e sensazioni, e perciò essa era rimasta in classe, ma ora non si poteva più andare avanti cosi.
Il  maestro andò dal padre, e gli disse di allontanare la piccola dalla scuola, o di farla diventare cristiana. - Non posso resistere a quegli occhi ardenti, a quella profondità di sentimento, a quella specie di sete spirituale verso le parole del Vangelo! – dichiarò il maestro. Il padre allora scoppio in lacrime: - Per me, so solo ben poco della nostra religione, - disse, - ma sua madre era una vera figlia di Israele, convinta e forte nella sua fede, e al suo capezzale di
morte le promisi solennemente che la nostra creatura non sarebbe mai stata battezzata; devo mantenere la mia promessa, è come se  avessi fatto un patto con Dio.
         E la piccola ebrea fu tolta dalla scuola cristiana.
         E passarono diversi anni.
In una delle più piccole cittadine della Jutlandia una povera fanciulla di religione ebraica era al servizio di una modesta famiglia borghese: era Sara; i sui capelli erano neri come l’ebano, i suoi occhi scuri ma pieni di luce e di splendore, come hanno per solito le figlie dell’oriente. L’espressione della ragazza, ormai diventata grande, era la stessa che aveva avuto la bambina seduta nei banchi di scuola, quando ascoltava con lo sguardo pensoso.
Ogni domenica uscivano dalla chiesa il suono dell’organo e il canto dei fedeli, e giungevano fino alla casa dirimpetto, dove stava lavorando la giovane ebrea, sempre diligente e fedele. « Ricordati di santificare il sabato », questa era la sua legge, ma per lei il sabato era giorno di lavoro, e poteva santificarlo solo nel cuore, cosa che non riteneva sufficiente. « Ma che cosa sono mai, per Iddio, i giorni e le ore? »  Quel  pensiero era ormai  sorto dal profondo della sua anima, e poi la domenica era più adatta al raccoglimento, quando il suono dell’organo e i canti dei fedeli giungevano sino a lei, in cucina, dietro il lavandino, e anche là si spandeva la sacra pace di Dio. Allora leggeva il Vecchio Testamento, tesoro e proprietà del suo popolo, non leggeva altro, perché quel che le avevano detto il padre e il maestro quando era stata allontanata da scuola le era rimasto impresso nel profondo dell’anima, cioè la promessa data alla madre morente, che la piccola Sara non si sarebbe mai fatta cristiana, non avrebbe abbandonato la fede dei suoi padri. Il nuovo testamento  era per lei un libro sigillato, e doveva restare tale, eppure lì c’erano tante cose, che restavano tra i ricordi più luminosi della sua infanzia. Una sera, mentre era seduta in un angolo della sala, sentì che il padrone leggeva ad alta voce: poteva ascoltare anche lei, perché non era il Vangelo, ma un vecchio libro di storia, e quello poteva bene ascoltarlo. Era la storia di un vecchio cavaliere ungherese fatto prigioniero da un pascià turco, che lo aveva fatto aggiogare all’aratro assieme ai buoi, costringendolo ad andare avanti a forza di frustate, e lo aveva sottoposto a ogni sorta di ingiurie e di maltrattamenti.
         La moglie del cavaliere aveva venduto tutte le sue gioie, dato in  pegno il castello e le terre e gli amici avevano sborsato molto denaro, perché la somma richiesta per il riscatto era incredibilmente alta, ma si riuscì a metterla insieme, il cavaliere fu liberato dalla schiavitù e dal disonore, e tornò a casa, malato e sofferente. Ma ben presto fu nuovamente proclamata la lotta contro i nemici del cristianesimo, il malato ne sentì parlare, e non ebbe più un momento di pace: si fece issare sul suo cavallo, il sangue gli tornò alle guance, parve riacquistare le forze, e partì verso la vittoria.
         Quello stesso pascià che lo aveva aggiogato all’aratro, ingiuriato e fatto soffrire cadde ora suo prigioniero, e come tale fu condotto fin nelle prigioni del castello. Dopo neppure un’ora di prigionia, il cavaliere andò dal suo prigioniero e gli chiese:
-         Cosa credi che ti aspetti?
-         Lo so bene, - rispose il turco,  - la vendetta!
-         Sì, la vendetta cristiana, - replicò il cavaliere. – Il cristianesimo ci comanda di perdonare i nostri nemici e di amare il nostro prossimo. Dio è amore! Torna in pace in patria, dai tuoi cari, e sii buono e misericordioso con quelli che soffrono!
Allora il prigioniero scoppiò in lacrime: - Come avrei potuto pensare possibile una cosa del genere! Ero certo che mi aspettavano torture e supplizi, e per questo ingoiai un veleno che mi  ucciderà in poche ore. Dovrò morire, non c’è rimedio, ma prima annunciami la dottrina che abbraccia in sé un tale amore e una tale grazia: essa è grande e divina! Fa’ che io muoia in essa, muoia cristiano!  -  E la  sua preghiera venne esaudita.

Ecco la leggenda, la storia, che veniva letta ad alta voce, ed essa fu ascoltata e seguita da tutti, ma nessuno ne fu acceso e infiammato più della ragazza seduta in un cantuccio, Sara, la domestica, la giovane ebrea; grandi lacrime pesanti le imperlarono gli occhi lucenti e neri come il carbone, ed essa rimase lì con l’animo di una bambina, come una volta sui banchi di scuola, compresa della grandezza del Vangelo. Le lacrime le scorrevano giù per le guance.
« Non far diventare cristiana la mia bambina! » erano state le ultime parole della sua mamma, sul letto di morte, ed esse le risonavano ancora nell’anima e nel cuore, insieme a quelle del comandamento: « Onora il padre e la madre! »
- Ma io non sono diventata cristiana! Mi chiamano l’ebrea, i figli del vicino me l’hanno gridato come un ‘ingiuria l’altra domenica, quando mi fermai davanti alla porta aperta della chiesa a guardar dentro, dove le candele brillavano sull’altare, e i fedeli cantavano. Da quando andavo a scuola fino a oggi, ho sentito la forza del cristianesimo; essa è come un raggio di sole, anche se chiudo gli occhi illumina egualmente il mio cuore; ma io non ti addolorerò nella tomba, mamma! Non verrò meno alla promessa che ti diede mio padre! Non voglio leggere la Bibbia cristiana, io ho il Dio dei miei padri, sarà l’unico mio sostegno.
            E passarono molti anni.
            Il padrone morì, la padrona si trovò in misere condizioni finanziarie, si dové fare a meno della donna di servizio, ma Sara non se ne andò: essa fu l’aiuto nella sventura, fu lei a mandare avanti le cose, lavorò fino a tarda notte, procurò il pane col lavoro delle sue mani; non c’era nessun parente che potesse occuparsi della famiglia, e la padrona divenne ogni giorno più debole, e fu costretta al letto per mesi e mesi. Sara la vegliò, la curò, lavorò, sempre dolce e pia, una vera benedizione per quella povera casa.
- Lì c’è la Bibbia, - le disse la malata, - leggimela un poco in questa lunga sera, il mio cuore anela di sentire la parola di Dio!
            Sara piegò il capo: le sue mani si giunsero sulla Bibbia, essa l’aprì e la lesse alla malata; spesso le venivano le lacrime agli occhi, ma questi diventavano sempre più luminosi, e si fece luce anche nel suo cuore:  « Mamma, tua figlia non si farà battezzare, non farà parte della comunità cristiana: tu hai ordinato così, e io onorerò la tua volontà; per quanto riguarda questa terra siamo d’accordo, ma nell’al di là esiste un’armonia più grande, in Dio: Egli ci guida oltre la morte! Egli scende sulla terra, e dopo averla fatta languire la ricopre di ricchezze! Io comprendo tutto questo! Non so io stessa come sia stato, ma ciò è avvenuto con Lui, in Lui, in Cristo! »
            Ed essa tremò nel pronunciare il santo nome, e un battesimo di fiamma la irradiò, con maggiorr violenza di quel che il corpo potesse sopportare, e così si piegò, divenuta più debole della malata che essa vegliava.
- Povera Sara, - dissero, - è estenuata dal lavoro e dalla veglia.
La portarono all’ospedale dei poveri, e lì morì, e di lì venne portata alla tomba, ma non fu seppellita nel cimitero cristiano, non era un posto adatto per un’ebrea, no, le dettero sepoltura fuori, vicino al muro.
E il sole di Dio, che splendeva sulle sepolture dei cristiani brillò anche sulla tomba della fanciulla ebrea, dall’altra parte del muro, e i salmi cantati nel cimitero cristiano giunsero fino alla sua tomba, e arrivò fino a lei l’annuncio della resurrezione in nome di Cristo, di Lui, il Signore che disse ai suoi discepoli: «Giovanni battezzò con l’acqua, ma voi sarete battezzati nello Spirito Santo!»






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