MAI CE LO SAREMMO ASPETTATO
Data: Giovedì, 24 dicembre @ 13:52:25 CST
Argomento: Italia
DI CARLO BERTANI
carlobertani.blogspot.com
Eh sì, proprio la sera di Natale, non ci
saremmo mai attesi di scrivere
qualcosa in difesa della Chiesa
Cattolica. Sarà l’aria del Natale.
Sinceramente, ci hanno proprio
infastidito i modi e le esternazione del
rabbi Cohen, (nella foto) dopo la visita
in Vaticano a Benedetto XVI.
Non si tratta di un problema religioso e
nemmeno dell’eterna querelle sulla
Shoà: è solo una questione d’educazione.
Per chi non lo sapesse, il rabbino Cohen da Haifa ha trovato da ridire sulla decisione
dell’apposita commissione vaticana, la quale ha deciso di promuovere la beatificazione di
Pio XII e di Giovanni Paolo II.
Proprio perché non cattolico, ritengo che chiunque non lo sia abbia il dovere di tacere, e
questo proprio per il rispetto che si deve all’altrui Credo.
Ci mancherebbe che, nel nome del dialogo interreligioso, un buddista dovesse chiedere il
permesso per ricordare Milarepa all’ayatollah Khamenei, oppure che un musulmano dovesse
chiedere il permesso di pregare per un Imam al Patriarca di Mosca: ma dove siamo?
Premettendo che sulla cause di beatificazione l’unica autorità competente è quella cattolica,
non vogliamo nasconderci dietro ad un dito ed entriamo nella spinosa questione.
Cohen ha dichiarato che Papa Pacelli non fece abbastanza per salvare gli ebrei: opinione
legittima, per carità, ma di pertinenza storica e non dottrinale. E, anche a voler cercare il pelo
nell’uovo, Cohen dimentica che Pio XII visse fino al Giugno del 1944 in una città occupata
dai nazisti, e quasi tutta l’Europa lo era.
Pacelli fece probabilmente la scelta della “fleet in being”, ossia valutò che fare un passo
azzardato non avrebbe sortito nessun effetto sui nazisti, mentre avrebbe compromesso la
possibilità d’usare i monasteri cattolici per dare rifugio agli ebrei.
E, i nazisti, si guardarono bene dall’invadere le strutture della Chiesa Cattolica. Ci sono
quindi fondati sospetti che Pio XII operò la miglior scelta, quella meno dolorosa.
Fu troppo poco?
Francamente, è difficile – oggi – dare un giudizio storico sulla vicenda, poiché non avremo
mai la prova del contrario, ossia di cosa sarebbe successo se il Papa avesse denunciato al
mondo lo sterminio.
Ma il Papa non era certo l’unico a sapere: gli americani sapevano tutto, ed alcuni P38
sorvolarono addirittura Birkenau ed i nodi ferroviari senza mai sganciare una bomba. La
giustificazione americana fu puerile: avevano paura di colpire i prigionieri. E i nodi
ferroviari?
Non vogliamo entrare nell’infinita querelle sulle responsabilità della Shoà, ma farne carico a
Pio XII ci sembra francamente esagerato e, per gli italiani, offensivo, giacché furono il
popolo che più si prodigò in favore degli ebrei, nonostante l’alleanza con Berlino e le leggi
razziali del ’38.
Per contrappasso, vorremmo chiedere a Cohen quanto “peserà” nel dialogo interreligioso il
rapporto Goldstone, ovvero la prova provata (Goldstone è un ebreo sudafricano, oltre che
incaricato dell’ONU per la stesura del rapporto) che Israele ha commesso crimini contro
l’umanità a Gaza.
E, questa, non è una storia del 1943, non c’erano Papi od autorità religiose a mitigare
l’inferno che dovettero subire gli abitanti di Gaza: è storia recente, Gennaio 2009. Dall’altra
parte, c’erano solo Tzahal ed il governo di Tel Aviv.
Se lei è veramente uomo di fede, rabbi Cohen, accetti un consiglio: torni ad Haifa e rifletta,
prima d’invocare le colpe altrui.
Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com
Link: http://carlobertani.blogspot.com/2009/12/mai-ce-lo-saremmo-aspettato.html
24.12.2009
lunedì 28 dicembre 2009
domenica 20 dicembre 2009
DUE PESI E DUE MISURE: alcune notizie sono più importati di altre
Indovinate qual è la notizia più importante.
Per aiutarvi vi dirò che una è stata riportata in prima pagina da tutti i giornali e da tutte le televisioni; l'altra è un misero trafiletto quando va bene.
Ancora scritte ebraiche anticristiane al Cenacolo
Gerusalemme (AsiaNews) - Un ulteriore oltraggio è stato commesso la notte fra il 14 e il 15 dicembre scorso contro la chiesa francescana adiacente il Santo Cenacolo sul Monte Sion, attigua al Luogo Santo dell'Ultima Cena (nella foto: la visita di Benedetto XVI nel maggio 2009).
Graffiti osceni sulle porte proclamavano messaggi come "Noi abbiamo ucciso Gesù", "Fuori i cristiani" (in inglese ed ebraico), e "F....off", il tutto adornato con la Stella di Davide, per non lasciare alcun dubbio circa l'affiliazione religiosa dei delinquenti.
Per evidenziare il messaggio, gli assalitori hanno urinato sulla porta, lasciando pure un lungo sentiero dell'urina lungo la stradina che porta alla chiesa.
Secondo alcuni preti del luogo, il gesto di urinare davanti a questo Luogo santo è divenuto una pratica quasi giornaliera. Fonti cristiane fanno notare il legame fra le scritte oltraggiose e le false dichiarazioni attribuite dalla stampa ad un viceministro israeliano, che avrebbe accusato il Vaticano di rivendicare la sovranità sul Monte Sion. Sarebbero dunque queste dichiarazioni ministeriali ad aver incitato elementi ebraici estremisti ad aumentare questi attacchi, che sono ormai divenuti abituali.
Giorni fa un'altra scritta in ebraico, sul muro della Dormizione, vicino al Cenacolo, proclamava "Morte ai cristiani" (v.12/12/2009 “Morte ai cristiani”: scritte ebraiche vicino al Cenacolo a Gerusalemme ).
(http://new.asianews.it/index.php?l=it&art=17130&geo=1&size=A )
da La Repubblica.it
Divelta la scritta in ferro battuto. I ladri sono entrati recidendo il filo spinato
L'iscrizione era stata realizzata dagli stessi prigionieri e installata nel 1940
Furto-profanazione ad Auschwitz
rubata l'insegna "Arbeit macht frei"
Nel campo furono uccise oltre un milione di persone
Il presidente israeliano Peres "profondamente scioccato"
Furto-profanazione ad Auschwitz rubata l'insegna "Arbeit macht frei"
VARSAVIA - Svitata da un lato e strappata dall'altro. Così è stato rubata l'insegna in ferro battuto, tragicamente celebre, che reca la scritta "Arbeit macht frei" ("Il lavoro rende liberi"), che campeggiava al di sopra del cancello di ingresso del campo di sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau, nel sud della Polonia.
Ladri professionisti. Il furto, compiuto - come riferisce la polizia polacca - fra le tre e le cinque della scorsa notte, non sembra essere una semplice bravata: i ladri hanno infatti reciso il filo spinato che costeggia la rete che delimita il campo, un'operazione quindi complessa che solo dei "professionisti" avrebbero potuto compiere. I ladri sembravano essere a conoscenza anche della posizione delle telecamere di sorveglianza.
L'iscrizione. "Si tratta del primo caso così grave di furto in questo luogo - spiega un portavoce del museo di Auschwitz, Jeroslaw Mensfeld - è una profanazione vergognosa nel luogo in cui oltre un milione di persone sono state assassinate". L'iscrizione in ferro battuto, costruita dagli stessi prigionieri e installata nel 1940, non era difficile da staccare, ha precisato Mensfeld, "ma bisognava saperlo". Di notte, il campo è chiuso e sorvegliato da vigilantes. Ora all'esame degli inquirenti ci sono anche videoriprese della notte, intorno e dentro il sito.
Il campo. Tra il 1940 e il 1945, nel campo di Auschwitz-Birchenau i nazisti sterminarono oltre un milione di persone, di cui un milione di ebrei. Fra le altre vittime, soprattutto polacchi non ebrei, rom e prigionieri di guerra sovietici. Le autorità del museo hanno già provveduto a installare all'ingresso del campo una copia della scritta, realizzata in occasione di un periodo di restauro dell'originale, divenuto in tutto il mondo il triste simbolo dell'Olocausto.
Peres "profondamente scioccato". Il presidente di Israele, Shimon Peres, si è detto "profondamente scioccato" per il furto. "L'iscrizione ha un profondo significato per gli ebrei come per i non ebrei come simbolo dell'oltre milione di vite perite a Auschwitz", ha dichiarato nel corso di un incontro speciale con il primo ministro polacco, Donald Tusk, a margine del summit sul clima a Ccopenaghen. "Lo stato di Israele e la comunità ebraica internazionale vi chiedono di fare tutto il possibile per trovare i criminali e rimettere l'iscrizione al suo posto".
La donazione. Proprio ieri il governo tedesco aveva annunciato di essere pronto a una donazione di 60 milioni di euro per la manutenzione dell'ex lager. Una cifra che rappresenta la metà del denaro necessario a preservare quel che resta delle baracche e delle camere a gas del più noto dei campi di concentramento nazista. Alla fine della guerra, oltre 200 ettari del campo furono trasformati in museo, visitato ogni anno da centinaia di migliaia di persone. Ma i proventi dei biglietti non sono sufficienti a mantenere il grande sito, con i suoi 155 edifici, le 300 strutture in rovina e centinaia di migliaia di reperti, in gran parte effetti personali dei prigionieri. Non mancano iniziative di sostegno che coinvolgono i visitatori, come la richiesta di un'offerta spontanea dal titolo "Compra un mattone".
L'appello. Quanto alla donazione della Germania, Mensfelt l'ha definita "enorme", ed ha auspicato che anche altri paesi possano seguire l'esempio con altri contributi in risposta all'appello lanciato dal governo polacco. Il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, ha detto che la donazione di Berlino rispecchia la "responsabilità storica" dei tedeschi. Per il momento, anche la Gran Bretagna ha dato la sua disponibilità.
(18 dicembre 2009) Tutti gli articoli di esteri
Per aiutarvi vi dirò che una è stata riportata in prima pagina da tutti i giornali e da tutte le televisioni; l'altra è un misero trafiletto quando va bene.
Ancora scritte ebraiche anticristiane al Cenacolo
Gerusalemme (AsiaNews) - Un ulteriore oltraggio è stato commesso la notte fra il 14 e il 15 dicembre scorso contro la chiesa francescana adiacente il Santo Cenacolo sul Monte Sion, attigua al Luogo Santo dell'Ultima Cena (nella foto: la visita di Benedetto XVI nel maggio 2009).
Graffiti osceni sulle porte proclamavano messaggi come "Noi abbiamo ucciso Gesù", "Fuori i cristiani" (in inglese ed ebraico), e "F....off", il tutto adornato con la Stella di Davide, per non lasciare alcun dubbio circa l'affiliazione religiosa dei delinquenti.
Per evidenziare il messaggio, gli assalitori hanno urinato sulla porta, lasciando pure un lungo sentiero dell'urina lungo la stradina che porta alla chiesa.
Secondo alcuni preti del luogo, il gesto di urinare davanti a questo Luogo santo è divenuto una pratica quasi giornaliera. Fonti cristiane fanno notare il legame fra le scritte oltraggiose e le false dichiarazioni attribuite dalla stampa ad un viceministro israeliano, che avrebbe accusato il Vaticano di rivendicare la sovranità sul Monte Sion. Sarebbero dunque queste dichiarazioni ministeriali ad aver incitato elementi ebraici estremisti ad aumentare questi attacchi, che sono ormai divenuti abituali.
Giorni fa un'altra scritta in ebraico, sul muro della Dormizione, vicino al Cenacolo, proclamava "Morte ai cristiani" (v.12/12/2009 “Morte ai cristiani”: scritte ebraiche vicino al Cenacolo a Gerusalemme ).
(http://new.asianews.it/index.php?l=it&art=17130&geo=1&size=A )
da La Repubblica.it
Divelta la scritta in ferro battuto. I ladri sono entrati recidendo il filo spinato
L'iscrizione era stata realizzata dagli stessi prigionieri e installata nel 1940
Furto-profanazione ad Auschwitz
rubata l'insegna "Arbeit macht frei"
Nel campo furono uccise oltre un milione di persone
Il presidente israeliano Peres "profondamente scioccato"
Furto-profanazione ad Auschwitz rubata l'insegna "Arbeit macht frei"
VARSAVIA - Svitata da un lato e strappata dall'altro. Così è stato rubata l'insegna in ferro battuto, tragicamente celebre, che reca la scritta "Arbeit macht frei" ("Il lavoro rende liberi"), che campeggiava al di sopra del cancello di ingresso del campo di sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau, nel sud della Polonia.
Ladri professionisti. Il furto, compiuto - come riferisce la polizia polacca - fra le tre e le cinque della scorsa notte, non sembra essere una semplice bravata: i ladri hanno infatti reciso il filo spinato che costeggia la rete che delimita il campo, un'operazione quindi complessa che solo dei "professionisti" avrebbero potuto compiere. I ladri sembravano essere a conoscenza anche della posizione delle telecamere di sorveglianza.
L'iscrizione. "Si tratta del primo caso così grave di furto in questo luogo - spiega un portavoce del museo di Auschwitz, Jeroslaw Mensfeld - è una profanazione vergognosa nel luogo in cui oltre un milione di persone sono state assassinate". L'iscrizione in ferro battuto, costruita dagli stessi prigionieri e installata nel 1940, non era difficile da staccare, ha precisato Mensfeld, "ma bisognava saperlo". Di notte, il campo è chiuso e sorvegliato da vigilantes. Ora all'esame degli inquirenti ci sono anche videoriprese della notte, intorno e dentro il sito.
Il campo. Tra il 1940 e il 1945, nel campo di Auschwitz-Birchenau i nazisti sterminarono oltre un milione di persone, di cui un milione di ebrei. Fra le altre vittime, soprattutto polacchi non ebrei, rom e prigionieri di guerra sovietici. Le autorità del museo hanno già provveduto a installare all'ingresso del campo una copia della scritta, realizzata in occasione di un periodo di restauro dell'originale, divenuto in tutto il mondo il triste simbolo dell'Olocausto.
Peres "profondamente scioccato". Il presidente di Israele, Shimon Peres, si è detto "profondamente scioccato" per il furto. "L'iscrizione ha un profondo significato per gli ebrei come per i non ebrei come simbolo dell'oltre milione di vite perite a Auschwitz", ha dichiarato nel corso di un incontro speciale con il primo ministro polacco, Donald Tusk, a margine del summit sul clima a Ccopenaghen. "Lo stato di Israele e la comunità ebraica internazionale vi chiedono di fare tutto il possibile per trovare i criminali e rimettere l'iscrizione al suo posto".
La donazione. Proprio ieri il governo tedesco aveva annunciato di essere pronto a una donazione di 60 milioni di euro per la manutenzione dell'ex lager. Una cifra che rappresenta la metà del denaro necessario a preservare quel che resta delle baracche e delle camere a gas del più noto dei campi di concentramento nazista. Alla fine della guerra, oltre 200 ettari del campo furono trasformati in museo, visitato ogni anno da centinaia di migliaia di persone. Ma i proventi dei biglietti non sono sufficienti a mantenere il grande sito, con i suoi 155 edifici, le 300 strutture in rovina e centinaia di migliaia di reperti, in gran parte effetti personali dei prigionieri. Non mancano iniziative di sostegno che coinvolgono i visitatori, come la richiesta di un'offerta spontanea dal titolo "Compra un mattone".
L'appello. Quanto alla donazione della Germania, Mensfelt l'ha definita "enorme", ed ha auspicato che anche altri paesi possano seguire l'esempio con altri contributi in risposta all'appello lanciato dal governo polacco. Il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, ha detto che la donazione di Berlino rispecchia la "responsabilità storica" dei tedeschi. Per il momento, anche la Gran Bretagna ha dato la sua disponibilità.
(18 dicembre 2009) Tutti gli articoli di esteri
lunedì 14 dicembre 2009
SIGNORAGGIO BANCARIO. Attaccare Berlusconi per colpire Tremonti.
da il Giornale articolo di venerdì 11 dicembre 2009
Provocazione
Quella sovranità della moneta in mani private
di Ida Magli
Abbiamo ricominciato a tremare per le banche. Abbiamo ricominciato a
tremare addirittura per gli Stati, a rischio di fallimento attraverso i
debiti delle banche. Si è alzata anche, in questi frangenti, la voce di
Mario Draghi con il suo memento ai governanti: attenzione al debito
pubblico e a quello privato; dovete a tutti i costi farli diminuire. Giusto.
Ma l’unico modo efficace per farli diminuire è finalmente
riappropriarsene. Non è forse giunta l’ora, dopo tutto quanto abbiamo
dovuto soffrire a causa delle incredibili malversazioni dei banchieri, di
sottrarci al loro macroscopico potere? Per prima cosa informando con
correttezza i cittadini di ciò che in grande maggioranza non sanno,
ossia che non sono gli Stati i padroni del denaro che viene messo in
circolazione in quanto hanno delegato pochi privati, azionisti delle
banche centrali, a crearlo. Sì, sembra perfino grottesca una cosa simile;
uno scherzo surreale del quale ridere; ma è realtà. C’è stato un
momento in cui alcuni ricchissimi banchieri hanno convinto gli Stati a
cedere loro il diritto di fabbricare la moneta per poi prestargliela con
tanto di interesse. È così che si è formato il debito pubblico: sono i soldi
che ogni cittadino deve alla banca centrale del suo paese per ogni
moneta che adopera. La Banca d’Italia non è per nulla la «Banca
d’Italia», ossia la nostra, degli italiani, ma una banca privata, così come
le altre Banche centrali inclusa quella Europea, che sono proprietà di
grandi istituti di credito, pur traendo volutamente i popoli in inganno
fregiandosi del nome dello Stato per il quale fabbricano il denaro. Ha
cominciato la Federal Reserve (che si chiama così ma che non ha nulla
di «federale»), banca centrale americana, i cui azionisti sono alcune
delle più famose banche del mondo quali la Rothschild Bank di Londra,
la Warburg Bank di Berlino, la Goldman Sachs di New York e poche
altre. Queste a loro volta sono anche azioniste di molte delle Banche
centrali degli Stati europei e queste infine, con il sistema delle scatole
cinesi, sono proprietarie della Banca centrale europea. Insomma il
patrimonio finanziario del mondo è nelle mani di pochissimi privati ai
quali è stato conferito per legge un potere sovranazionale, cosa di per
sé illegittima negli Stati democratici ove la Costituzione afferma, come
in quella italiana, che la sovranità appartiene al popolo.
Niente è segreto di quanto detto finora, anzi: è sufficiente cercare le
voci adatte in internet per ottenere senza difficoltà le informazioni
fondamentali sulla fabbricazione bancaria delle monete, sul cosiddetto
«signoraggio», ossia sull’interesse che gli Stati pagano per avere «in
prestito» dalle banche il denaro che adoperiamo e sulla sua assurda
conseguenza: l’accumulo sempre crescente del debito pubblico dei
singoli Stati. Anche la bibliografia è abbastanza nutrita e sono
facilmente reperibili sia le traduzioni in italiano che i volumi specialistici
di nostri autori. Tuttavia queste informazioni non circolano e sembra
quasi che si sia formata, senza uno specifico divieto, una specie di
congiura del silenzio. È vero che le decisioni dei banchieri hanno per
statuto diritto alla segretezza; ma sappiamo bene quale forza
pubblicitaria di diffusione la segretezza aggiunga alle notizie.
Probabilmente si tratta del timore per le terribili rappresaglie cui sono
andati incontro in America quegli eroici politici che hanno tentato di far
saltare l’accordo con le banche e di cui si parla come dei «caduti» per
la moneta. Abraham Lincoln, John F. Kennedy, Robert Kennedy sono
stati uccisi, infatti (questo collegamento causale naturalmente è senza
prove) subito dopo aver firmato la legge che autorizzava lo Stato a
produrre il dollaro in proprio.
Oggi, però, è indispensabile che i popoli guardino con determinazione e
consapevolezza alla realtà del debito pubblico nelle sue vere cause in
modo da indurre i governanti a riappropriarsi della sovranità monetaria
prima che esso diventi inestinguibile. È questo il momento. Proprio
perché i banchieri ci avvertono che il debito pubblico è troppo alto e
deve rientrare, ma non è possibile farlo senza aumentare ancora le
tasse oppure eliminare alcune delle più preziose garanzie sociali;
proprio perché le banche hanno ricominciato a fallire (anche se in
realtà non avevano affatto smesso) e ci portano al disastro; proprio
perché è evidente che il sistema, così dichiaratamente patologico, è
giunto alle sue estreme conseguenze, dobbiamo mettervi fine. In Italia
non sarà difficile convincerne i governanti, visto che più volte è apparso
chiaramente che la loro insofferenza per la situazione è quasi pari alla
nostra.
© IL GIORNALE ON LINE S.R.L.
Provocazione
Quella sovranità della moneta in mani private
di Ida Magli
Abbiamo ricominciato a tremare per le banche. Abbiamo ricominciato a
tremare addirittura per gli Stati, a rischio di fallimento attraverso i
debiti delle banche. Si è alzata anche, in questi frangenti, la voce di
Mario Draghi con il suo memento ai governanti: attenzione al debito
pubblico e a quello privato; dovete a tutti i costi farli diminuire. Giusto.
Ma l’unico modo efficace per farli diminuire è finalmente
riappropriarsene. Non è forse giunta l’ora, dopo tutto quanto abbiamo
dovuto soffrire a causa delle incredibili malversazioni dei banchieri, di
sottrarci al loro macroscopico potere? Per prima cosa informando con
correttezza i cittadini di ciò che in grande maggioranza non sanno,
ossia che non sono gli Stati i padroni del denaro che viene messo in
circolazione in quanto hanno delegato pochi privati, azionisti delle
banche centrali, a crearlo. Sì, sembra perfino grottesca una cosa simile;
uno scherzo surreale del quale ridere; ma è realtà. C’è stato un
momento in cui alcuni ricchissimi banchieri hanno convinto gli Stati a
cedere loro il diritto di fabbricare la moneta per poi prestargliela con
tanto di interesse. È così che si è formato il debito pubblico: sono i soldi
che ogni cittadino deve alla banca centrale del suo paese per ogni
moneta che adopera. La Banca d’Italia non è per nulla la «Banca
d’Italia», ossia la nostra, degli italiani, ma una banca privata, così come
le altre Banche centrali inclusa quella Europea, che sono proprietà di
grandi istituti di credito, pur traendo volutamente i popoli in inganno
fregiandosi del nome dello Stato per il quale fabbricano il denaro. Ha
cominciato la Federal Reserve (che si chiama così ma che non ha nulla
di «federale»), banca centrale americana, i cui azionisti sono alcune
delle più famose banche del mondo quali la Rothschild Bank di Londra,
la Warburg Bank di Berlino, la Goldman Sachs di New York e poche
altre. Queste a loro volta sono anche azioniste di molte delle Banche
centrali degli Stati europei e queste infine, con il sistema delle scatole
cinesi, sono proprietarie della Banca centrale europea. Insomma il
patrimonio finanziario del mondo è nelle mani di pochissimi privati ai
quali è stato conferito per legge un potere sovranazionale, cosa di per
sé illegittima negli Stati democratici ove la Costituzione afferma, come
in quella italiana, che la sovranità appartiene al popolo.
Niente è segreto di quanto detto finora, anzi: è sufficiente cercare le
voci adatte in internet per ottenere senza difficoltà le informazioni
fondamentali sulla fabbricazione bancaria delle monete, sul cosiddetto
«signoraggio», ossia sull’interesse che gli Stati pagano per avere «in
prestito» dalle banche il denaro che adoperiamo e sulla sua assurda
conseguenza: l’accumulo sempre crescente del debito pubblico dei
singoli Stati. Anche la bibliografia è abbastanza nutrita e sono
facilmente reperibili sia le traduzioni in italiano che i volumi specialistici
di nostri autori. Tuttavia queste informazioni non circolano e sembra
quasi che si sia formata, senza uno specifico divieto, una specie di
congiura del silenzio. È vero che le decisioni dei banchieri hanno per
statuto diritto alla segretezza; ma sappiamo bene quale forza
pubblicitaria di diffusione la segretezza aggiunga alle notizie.
Probabilmente si tratta del timore per le terribili rappresaglie cui sono
andati incontro in America quegli eroici politici che hanno tentato di far
saltare l’accordo con le banche e di cui si parla come dei «caduti» per
la moneta. Abraham Lincoln, John F. Kennedy, Robert Kennedy sono
stati uccisi, infatti (questo collegamento causale naturalmente è senza
prove) subito dopo aver firmato la legge che autorizzava lo Stato a
produrre il dollaro in proprio.
Oggi, però, è indispensabile che i popoli guardino con determinazione e
consapevolezza alla realtà del debito pubblico nelle sue vere cause in
modo da indurre i governanti a riappropriarsi della sovranità monetaria
prima che esso diventi inestinguibile. È questo il momento. Proprio
perché i banchieri ci avvertono che il debito pubblico è troppo alto e
deve rientrare, ma non è possibile farlo senza aumentare ancora le
tasse oppure eliminare alcune delle più preziose garanzie sociali;
proprio perché le banche hanno ricominciato a fallire (anche se in
realtà non avevano affatto smesso) e ci portano al disastro; proprio
perché è evidente che il sistema, così dichiaratamente patologico, è
giunto alle sue estreme conseguenze, dobbiamo mettervi fine. In Italia
non sarà difficile convincerne i governanti, visto che più volte è apparso
chiaramente che la loro insofferenza per la situazione è quasi pari alla
nostra.
© IL GIORNALE ON LINE S.R.L.
venerdì 4 dicembre 2009
LUTTWAK A BALLARO': L'ITALIA AVVISA GLI USA PRIMA, DURANTE E DOPO
Edward Luttwak e Lukashenko
Inquietante affermazione di Edward Luttwak l'altra sera a “Ballarò”, in onda martedì 1 dicembre 2009. Alla domanda del conduttore che gli chiedeva se la visita di Berlusconi alla Bielorussia, la prima di un capo di Stato di un grande paese occidentale, fosse stata non gradita dagli Usa, Luttwak ha candidamente affermato che l'Italia avvisa prima, dopo e durante, e che quindi non c'era nessun problema con l'amministrazione Obama.
Nessuno degli ospiti né tanto meno Giovanni Floris hanno colto che, nel mentre l'affermazione discolpava Berlusconi dall'accusa di avventurismo diplomatico e di aver incontrato Lukashenko, un pericoloso dittatore, la stessa affossava l'immagine dell'Italia, che veniva praticamente dichiarata serva degli USA, a cui doveva riferire “prima, durante e dopo”.
Inquietante affermazione di Edward Luttwak l'altra sera a “Ballarò”, in onda martedì 1 dicembre 2009. Alla domanda del conduttore che gli chiedeva se la visita di Berlusconi alla Bielorussia, la prima di un capo di Stato di un grande paese occidentale, fosse stata non gradita dagli Usa, Luttwak ha candidamente affermato che l'Italia avvisa prima, dopo e durante, e che quindi non c'era nessun problema con l'amministrazione Obama.
Nessuno degli ospiti né tanto meno Giovanni Floris hanno colto che, nel mentre l'affermazione discolpava Berlusconi dall'accusa di avventurismo diplomatico e di aver incontrato Lukashenko, un pericoloso dittatore, la stessa affossava l'immagine dell'Italia, che veniva praticamente dichiarata serva degli USA, a cui doveva riferire “prima, durante e dopo”.
mercoledì 2 dicembre 2009
CARDINAL BORROMEO, INVENTORE DELLA BIBLIOTECA PUBBLICA E DEI MOTORI DI RICERCA "UMANI"
da il Giornale. articolo di mercoledì 02 dicembre 2009
Quando il cardinale battezzò il primo "Google"
di Ferdinando Maffioli
Milano, i 400 anni della Biblioteca Ambrosiana: l’8 dicembre Federico
Borromeo inaugurò la storica biblioteca. La novità era l’apertura al
pubblico e "motori di ricerca umani"
Gli ultimi mesi del l609 furono molto inquieti per il cardinale Federico
Borromeo. Non solo per le difficoltà della sua azione pastorale. In una
Milano dominata dallo scandalo «manifesto e comune dello sconcio
parlare», dove i nobili non fanno altro che «vagheggiare alle carrozze,
tenere giuochi pubblici in casa e far pasti di soverchia spesa e
delicatezza», i mercanti «bugiardi e spergiuri fanno contratti ingiusti e
ingannano molti forestieri» e i giovani della «plebbe contrastano, fanno
rissa, si danno e si ingiuriano». Oltre alle sue preoccupazioni
d’arcivescovo, il quarantacinquenne Federico attendeva con ansia di
potere mettere finalmente le mani su un tesoro di carta inseguito per
anni. Ciò che sperava di poter fare prima dell’8 dicembre, quando un
altro suo sogno si sarebbe ufficialmente concretizzato. Nel mirino
dell’attesa c’erano ventidue grandi casse piene di codici latini e greci.
Ovvero la parte più preziosa della raccolta, famosa a tutti gli eruditi
d’Europa, di manoscritti e stampati che Gian Vincenzo Pinelli aveva
riunito nella sua casa museo di Padova, tra il 1558 e il 1601. Morto lui,
quel patrimonio culturale, desiderato da molti, era finito a Napoli e dopo
anni di tira e molla con gli eredi, messo all’asta nel 1608. Grazie
all’intelligente (e paziente) opera dei suoi collaboratori, Federico era
finalmente riuscito ad acquisire quel tesoro librario. Ma restavano i
timori per il trasporto, da Napoli a Genova via mare e poi a Milano.
Considerato che già qualche anno prima una parte della casse era finita
preda dei pirati turchi e gettata in mare. D’altra parte, quella di Pinelli
era una raccolta di gran valore – basti pensare alla celebre «Iliade»
dipinta del V-VI secolo (51 frammenti su pergamena raffiguranti 58
scene del poema). E per Federico l’arrivo di quelle casse, il loro
aggiungersi al già cospicuo patrimonio librario accumulato in tanti anni
di ricerche, rappresentava la consacrazione naturale del suo antico
progetto: la creazione, sull’esempio della Vaticana, di una grande
biblioteca. Di una biblioteca che, in una Milano senza università e
chiusa in elitarie accademie, fosse invece aperta al pubblico, al servizio
degli studiosi. Che non fosse insomma preziosa ma sterile
conservazione di volumi.
Fortuna volle che a metà novembre 1609 i «fachini scaricarono i carri
de libri di Genova» in piazza San Sepolcro. Qui, sei anni prima, Federico
aveva dato inizio ai lavori della «sua» Biblioteca Ambrosiana. E qui l’8
dicembre 1609, festa dell’Immacolata, avvenne la fastosa
inaugurazione di una realtà culturale che non aveva precedenti, e di cui
la città poteva a buon diritto dirsi orgogliosa. Fatta eccezione per la
Bodleiana di Oxford (1602), che aveva modalità di consultazione
diverse, l’Ambrosiana poteva considerarsi la prima biblioteca
veramente pubblica. In un periodo in cui i testi erano nascosti negli
armadi e le sale di lettura delle biblioteche sostanzialmente piene di
leggii cui i volumi erano legati o incatenati, in piazza San Sepolcro, un
passo dal Duomo, i libri – lo ricorda anche Manzoni ne «I promessi
sposi» – «erano esposti, dati a chiunque li chiedesse e datogli anche da
sedere e carta e penna e calamaio per gli appunti». Per non dire dei
bracieri e perfino dei soppedanei, «perché non patiscano freddo in
tempo d’inverno i Studenti con l’appoggiare i piedi sul nudo terreno».
Quell’8 dicembre 1609 fu dunque una festa per la Milano colta (a cui
però il governatore spagnolo Fuentes non partecipò). Tutti gli
intervenuti poterono poi rendersi conto della eccezionalità e della
vastità del catalogo della nuova biblioteca. Ammirando, tra l’altro, due
fogli manoscritti della «Summa contra gentiles» di San Tommaso, il
«Virgilio» illustrato da Simone Martini e appartenuto al Petrarca, «e
anche un raffinato «Corano» del secolo precedente. A conferma, in
quest’ultimo caso, di quanto ampio fosse l’orizzonte culturale del
Borromeo, e di quanto intensi fossero stati la sua ricerca di opere
importanti e il suo sforzo finanziario.
L’Ambrosiana presentava poi anche la novità dei «dottori», studiosi che
seguendo il motto di Federico, singuli singola, si dedicavano a una sola
disciplina. Erano una sorta di cavalieri del sapere specifico,
dell’assistenza scientifica. Un’originale tipologia di esperti sempre in
sala, a turno, e a disposizione dei frequentatori. Per essere al servizio
della consultazione ma anche per approfondirne i contenuti. Un po’
come cliccare su Google con qualche secolo d’anticipo.
IL GIORNALE. articolo di mercoledì 02 dicembre 2009
Quando il cardinale battezzò il primo "Google"
di Ferdinando Maffioli
Milano, i 400 anni della Biblioteca Ambrosiana: l’8 dicembre Federico
Borromeo inaugurò la storica biblioteca. La novità era l’apertura al
pubblico e "motori di ricerca umani"
Gli ultimi mesi del l609 furono molto inquieti per il cardinale Federico
Borromeo. Non solo per le difficoltà della sua azione pastorale. In una
Milano dominata dallo scandalo «manifesto e comune dello sconcio
parlare», dove i nobili non fanno altro che «vagheggiare alle carrozze,
tenere giuochi pubblici in casa e far pasti di soverchia spesa e
delicatezza», i mercanti «bugiardi e spergiuri fanno contratti ingiusti e
ingannano molti forestieri» e i giovani della «plebbe contrastano, fanno
rissa, si danno e si ingiuriano». Oltre alle sue preoccupazioni
d’arcivescovo, il quarantacinquenne Federico attendeva con ansia di
potere mettere finalmente le mani su un tesoro di carta inseguito per
anni. Ciò che sperava di poter fare prima dell’8 dicembre, quando un
altro suo sogno si sarebbe ufficialmente concretizzato. Nel mirino
dell’attesa c’erano ventidue grandi casse piene di codici latini e greci.
Ovvero la parte più preziosa della raccolta, famosa a tutti gli eruditi
d’Europa, di manoscritti e stampati che Gian Vincenzo Pinelli aveva
riunito nella sua casa museo di Padova, tra il 1558 e il 1601. Morto lui,
quel patrimonio culturale, desiderato da molti, era finito a Napoli e dopo
anni di tira e molla con gli eredi, messo all’asta nel 1608. Grazie
all’intelligente (e paziente) opera dei suoi collaboratori, Federico era
finalmente riuscito ad acquisire quel tesoro librario. Ma restavano i
timori per il trasporto, da Napoli a Genova via mare e poi a Milano.
Considerato che già qualche anno prima una parte della casse era finita
preda dei pirati turchi e gettata in mare. D’altra parte, quella di Pinelli
era una raccolta di gran valore – basti pensare alla celebre «Iliade»
dipinta del V-VI secolo (51 frammenti su pergamena raffiguranti 58
scene del poema). E per Federico l’arrivo di quelle casse, il loro
aggiungersi al già cospicuo patrimonio librario accumulato in tanti anni
di ricerche, rappresentava la consacrazione naturale del suo antico
progetto: la creazione, sull’esempio della Vaticana, di una grande
biblioteca. Di una biblioteca che, in una Milano senza università e
chiusa in elitarie accademie, fosse invece aperta al pubblico, al servizio
degli studiosi. Che non fosse insomma preziosa ma sterile
conservazione di volumi.
Fortuna volle che a metà novembre 1609 i «fachini scaricarono i carri
de libri di Genova» in piazza San Sepolcro. Qui, sei anni prima, Federico
aveva dato inizio ai lavori della «sua» Biblioteca Ambrosiana. E qui l’8
dicembre 1609, festa dell’Immacolata, avvenne la fastosa
inaugurazione di una realtà culturale che non aveva precedenti, e di cui
la città poteva a buon diritto dirsi orgogliosa. Fatta eccezione per la
Bodleiana di Oxford (1602), che aveva modalità di consultazione
diverse, l’Ambrosiana poteva considerarsi la prima biblioteca
veramente pubblica. In un periodo in cui i testi erano nascosti negli
armadi e le sale di lettura delle biblioteche sostanzialmente piene di
leggii cui i volumi erano legati o incatenati, in piazza San Sepolcro, un
passo dal Duomo, i libri – lo ricorda anche Manzoni ne «I promessi
sposi» – «erano esposti, dati a chiunque li chiedesse e datogli anche da
sedere e carta e penna e calamaio per gli appunti». Per non dire dei
bracieri e perfino dei soppedanei, «perché non patiscano freddo in
tempo d’inverno i Studenti con l’appoggiare i piedi sul nudo terreno».
Quell’8 dicembre 1609 fu dunque una festa per la Milano colta (a cui
però il governatore spagnolo Fuentes non partecipò). Tutti gli
intervenuti poterono poi rendersi conto della eccezionalità e della
vastità del catalogo della nuova biblioteca. Ammirando, tra l’altro, due
fogli manoscritti della «Summa contra gentiles» di San Tommaso, il
«Virgilio» illustrato da Simone Martini e appartenuto al Petrarca, «e
anche un raffinato «Corano» del secolo precedente. A conferma, in
quest’ultimo caso, di quanto ampio fosse l’orizzonte culturale del
Borromeo, e di quanto intensi fossero stati la sua ricerca di opere
importanti e il suo sforzo finanziario.
L’Ambrosiana presentava poi anche la novità dei «dottori», studiosi che
seguendo il motto di Federico, singuli singola, si dedicavano a una sola
disciplina. Erano una sorta di cavalieri del sapere specifico,
dell’assistenza scientifica. Un’originale tipologia di esperti sempre in
sala, a turno, e a disposizione dei frequentatori. Per essere al servizio
della consultazione ma anche per approfondirne i contenuti. Un po’
come cliccare su Google con qualche secolo d’anticipo.
IL GIORNALE. articolo di mercoledì 02 dicembre 2009
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