da il Giornale. articolo di mercoledì 02 dicembre 2009
Quando il cardinale battezzò il primo "Google"
di Ferdinando Maffioli
Milano, i 400 anni della Biblioteca Ambrosiana: l’8 dicembre Federico
Borromeo inaugurò la storica biblioteca. La novità era l’apertura al
pubblico e "motori di ricerca umani"
Gli ultimi mesi del l609 furono molto inquieti per il cardinale Federico
Borromeo. Non solo per le difficoltà della sua azione pastorale. In una
Milano dominata dallo scandalo «manifesto e comune dello sconcio
parlare», dove i nobili non fanno altro che «vagheggiare alle carrozze,
tenere giuochi pubblici in casa e far pasti di soverchia spesa e
delicatezza», i mercanti «bugiardi e spergiuri fanno contratti ingiusti e
ingannano molti forestieri» e i giovani della «plebbe contrastano, fanno
rissa, si danno e si ingiuriano». Oltre alle sue preoccupazioni
d’arcivescovo, il quarantacinquenne Federico attendeva con ansia di
potere mettere finalmente le mani su un tesoro di carta inseguito per
anni. Ciò che sperava di poter fare prima dell’8 dicembre, quando un
altro suo sogno si sarebbe ufficialmente concretizzato. Nel mirino
dell’attesa c’erano ventidue grandi casse piene di codici latini e greci.
Ovvero la parte più preziosa della raccolta, famosa a tutti gli eruditi
d’Europa, di manoscritti e stampati che Gian Vincenzo Pinelli aveva
riunito nella sua casa museo di Padova, tra il 1558 e il 1601. Morto lui,
quel patrimonio culturale, desiderato da molti, era finito a Napoli e dopo
anni di tira e molla con gli eredi, messo all’asta nel 1608. Grazie
all’intelligente (e paziente) opera dei suoi collaboratori, Federico era
finalmente riuscito ad acquisire quel tesoro librario. Ma restavano i
timori per il trasporto, da Napoli a Genova via mare e poi a Milano.
Considerato che già qualche anno prima una parte della casse era finita
preda dei pirati turchi e gettata in mare. D’altra parte, quella di Pinelli
era una raccolta di gran valore – basti pensare alla celebre «Iliade»
dipinta del V-VI secolo (51 frammenti su pergamena raffiguranti 58
scene del poema). E per Federico l’arrivo di quelle casse, il loro
aggiungersi al già cospicuo patrimonio librario accumulato in tanti anni
di ricerche, rappresentava la consacrazione naturale del suo antico
progetto: la creazione, sull’esempio della Vaticana, di una grande
biblioteca. Di una biblioteca che, in una Milano senza università e
chiusa in elitarie accademie, fosse invece aperta al pubblico, al servizio
degli studiosi. Che non fosse insomma preziosa ma sterile
conservazione di volumi.
Fortuna volle che a metà novembre 1609 i «fachini scaricarono i carri
de libri di Genova» in piazza San Sepolcro. Qui, sei anni prima, Federico
aveva dato inizio ai lavori della «sua» Biblioteca Ambrosiana. E qui l’8
dicembre 1609, festa dell’Immacolata, avvenne la fastosa
inaugurazione di una realtà culturale che non aveva precedenti, e di cui
la città poteva a buon diritto dirsi orgogliosa. Fatta eccezione per la
Bodleiana di Oxford (1602), che aveva modalità di consultazione
diverse, l’Ambrosiana poteva considerarsi la prima biblioteca
veramente pubblica. In un periodo in cui i testi erano nascosti negli
armadi e le sale di lettura delle biblioteche sostanzialmente piene di
leggii cui i volumi erano legati o incatenati, in piazza San Sepolcro, un
passo dal Duomo, i libri – lo ricorda anche Manzoni ne «I promessi
sposi» – «erano esposti, dati a chiunque li chiedesse e datogli anche da
sedere e carta e penna e calamaio per gli appunti». Per non dire dei
bracieri e perfino dei soppedanei, «perché non patiscano freddo in
tempo d’inverno i Studenti con l’appoggiare i piedi sul nudo terreno».
Quell’8 dicembre 1609 fu dunque una festa per la Milano colta (a cui
però il governatore spagnolo Fuentes non partecipò). Tutti gli
intervenuti poterono poi rendersi conto della eccezionalità e della
vastità del catalogo della nuova biblioteca. Ammirando, tra l’altro, due
fogli manoscritti della «Summa contra gentiles» di San Tommaso, il
«Virgilio» illustrato da Simone Martini e appartenuto al Petrarca, «e
anche un raffinato «Corano» del secolo precedente. A conferma, in
quest’ultimo caso, di quanto ampio fosse l’orizzonte culturale del
Borromeo, e di quanto intensi fossero stati la sua ricerca di opere
importanti e il suo sforzo finanziario.
L’Ambrosiana presentava poi anche la novità dei «dottori», studiosi che
seguendo il motto di Federico, singuli singola, si dedicavano a una sola
disciplina. Erano una sorta di cavalieri del sapere specifico,
dell’assistenza scientifica. Un’originale tipologia di esperti sempre in
sala, a turno, e a disposizione dei frequentatori. Per essere al servizio
della consultazione ma anche per approfondirne i contenuti. Un po’
come cliccare su Google con qualche secolo d’anticipo.
IL GIORNALE. articolo di mercoledì 02 dicembre 2009
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